Il Sole 24 Ore, 17 febbraio 2021
Dai governi europei nel 2020 stimoli fiscali pari al 14% del Pil
Le misure fiscali adottate dai governi europei per contrastare la crisi pandemica e sostenere l’economia, mantenendo aperti i rubinetti del credito per famiglie e imprese, sono state pari a 2.436 miliardi, il 14% del Pil complessivo, tra prestiti e garanzie pubbliche, sussidi e tassazione agevolata o differita. Questi pacchetti di interventi senza precedenti, che salgono a quota 3.274 miliardi incluse le moratorie, ha stabilizzato il mercato del credito, ha evitato una crisi di liquidità e ha consentito al sistema finanziario di continuare a funzionare in pandemia.
Ma i rischi restano elevati, l’incertezza è alta, e in prospettiva i governi dovranno mirare le misure di sostegno ai settori più colpiti, monitorare da vicino la sostenibilità del debito privato, prepararsi all’aumento delle insolvenze e delle sofferenze bancarie, promuovere maggiore trasparenza nei bilanci delle banche e coordinare le politiche d’intervento tra stati. Da evitare il ritiro dei supporti sia troppo presto (va scongiurato l’effetto-baratro) «esasperando gli effetti della crisi economica e mettendo a rischio la stabilità finanziaria», sia troppo tardi «aumentando le pressioni sui conti pubblici e ritardando i cambiamenti strutturali».
Sono queste le conclusioni e le raccomandazioni contenute nel rapporto pubblicato ieri dal Comitato europeo per il rischio sistemico che ha analizzato l’impatto delle misure fiscali varate al settembre 2020 dai governi dei 31 paesi europei membri del ESRB (European systemic risk board). Il Comitato monitora gli interventi dei governi che coinvolgono direttamente il sistema finanziario: moratorie, garanzie pubbliche, assicurazioni sul credito e tutte le misure di natura tributaria che hanno impatto sull’affidabilità creditizia di debitori, emittenti di debito e investitori.
«I pacchetti di misure fiscali più grandi sono stati varati dai Paesi colpiti più duramente dalla crisi pandemica. Ma ha pesato anche lo spazio fiscale a disposizione» ha commentato Claudia Buch, vice-presidente della Bundesbank, presentando alla stampa il rapporto da lei presieduto a livello di working group. Al 31 ottobre 2020, un totale di 600 misure fiscali anti-Covid erano state messe in campo dai 31 Stati membri del Cers. Tra i Paesi più colpiti dalla crisi, con misure di supporto pesanti, emergono Italia, Portogallo, Spagna e Francia.
Secondo Buch, resta aperto il rischio di uno scenario avverso, quello di una pandemia che si protrae nel tempo e che di conseguenza fa lievitare le perdite nel settore finanziario provocando una stretta al credito. «Dobbiamo assicurare che il settore bancario continui a funzionare», ha ammonito la numero due della Buba, indicando l’importanza della reportistica delle banche, di bilanci trasparenti, per far emergere quanto prima con chiarezza la sostenibilità o l’insostenibilità del debito nel settore privato. Informazioni puntuali e affidabili sono necessarie per consentire ai governi di misurare l’efficacia degli interventi e agire di conseguenza.
La principale preoccupazione, in forma di raccomandazione, che emerge dal rapporto è data dal punto di equilibrio che i governi e le autorità dovranno gestire «con attenzione» in merito alla durata delle misure fiscali anti-Covid nè troppo brevi nè troppo estese.
Il rapporto sulle misure fiscali adottate l’anno scorso, e molte delle quali prolungate quest’anno, getta comunque luce sull’efficacia degli interventi. Per settembre dell’anno scorso, i programmi di sostegno effettivamente utilizzati sul totale di 2.400 miliardi annunciati sono stati oltre 700 miliardi pari al 4% del Pil dei 31 Stati membri del Cers (tra i quali il Regno Unito), di cui 400 miliardi in garanzie pubbliche. Il 5% dei totale dei prestiti bancari, pari a 840 miliardi, risulta nel rapporto coperto dalle moratorie.
L’impatto dello shock Covid-19 sul sistema finanziario viene monitorato attraverso numerosi indicatori: il rapporto NPLs lordi/totale prestiti; la percentuale di prestiti Stage2 come definiti da IFRS9; la media ponderata della probabilità di default sul portafoglio dei nuovi prestiti alle imprese non finanziarie; il livello di CET1 e leverage ratio; il coefficiente di solvibilità delle compagnie assicurative.
Una crisi pandemica più lunga del previsto, senza una ripresa a “V”, rappresenta una sfida ulteriore per le misure di sostegno secondo il rapporto: nel medio-lungo termine si avverte che la liquidità prolungata può portare a un accumulo di debito, aumentando il rischio delle insolvenze e portando a lunghe e costose ristrutturazioni debitorie.
Le moratorie sui prestiti possono posticipare la materializzazione dei rischi di credito di famiglie e imprese. Le garanzie pubbliche infine aumentano la leva dei debitori.