la Repubblica, 17 febbraio 2021
Un ricordo di Giulietta Masina
Cent’anni fa, il 22 febbraio 1921, nasceva a San Giorgio di Piano, a ridosso di Bologna, Giulia Anna Masina, più famosa con il diminutivo Giulietta donatole dal marito Federico Fellini. Il regista le ha dato i ruoli più importanti, in La strada, Le notti di Cabiria, Giulietta degli spiriti, Ginger e Fred. Film che l’hanno resa famosa in tutto il mondo (Chaplin disse che era l’attrice che ammirava di più), ma che hanno tramandato un’immagine che non corrisponde a quella della donna. «Interpretava spesso donne sfortunate e malinconiche», dice il nipote Attilio Masina, «mentre nella vita aveva un grande carattere e una grandissima forza. Non ricordo una sola volta di essere riuscito a parlarle seduto in un salotto, dovevo sempre correrle dietro, aveva un’energia instancabile, un grande amore per la vita, e un legame profondo per ogni forma e tipo di cultura. Per noi nipoti è stata un grande esempio, una grossa fortuna». Attilio è figlio di un fratello di Giulietta, Mario, e le sue impressioni coincidono perfettamente con quelle di un’altra nipote, Simonetta Tavanti, figlia della sorella Eugenia (c’è anche un altro nipote, Roberto, anche lui figlio di Eugenia). «Non era affatto remissiva», ricorda Simonetta. «Viveva in una maniera “giusta”: accettava a volte compromessi per poter vivere bene con le persone che amava. Con Federico non ha avuto vita facile, ma sapeva dove cedere e dove battersi. E guai se qualcuno faceva del male a qualche famigliare, diventava una belva».
Prima di quattro figli, la piccola Giulia venne affidata bambina a una zia. «I miei nonni lavoravano entrambi, non avevano la possibilità di seguire quattro figli, e quindi lei fu cresciuta a Roma da una zia», spiega Attilio. «Ha vissuto in un ambiente stimolante con il rammarico per una famiglia che non ha potuto godere fino in fondo, e questo l’ha portata a un legame profondo con tutti i famigliari. Se c’era una difficoltà era sempre in prima fila, aveva lo spirito protettivo di un capofamiglia, la chiamavano “generale”». «Quando ha cominciato a stare bene come lavoro», dice Simonetta, «ha fatto venire a Roma i genitori, li ha messi in una bella casa e se ne è occupata. E così anche con mia madre, che era meno forte di lei. Veniva spesso a trovarla, a piedi, da via Margutta fino al quartiere Flaminio: Giulietta era molto camminatrice».
E Fellini? «L’amore della sua vita» dice con decisione Simonetta. «A me, che mi sono separata presto, diceva: “Ricordati che i grandi amori si pagano, si lotta per loro”. Lei ha lottato molto per Federico, e per lui Giulietta era l’aria che respirava. Si sono lette molte interviste di attrici e attricette che parlano di avventure con Fellini, ma di certo Giulietta era il suo grande amore. Quando fu operato a Zurigo, volle anche me perché non voleva che Giulietta stesse da sola. Lo salutammo la sera prima dell’intervento e la mattina dopo trovammo sul comodino una lettera a Giulietta: “Questa sera mi addormento tranquillo perché so che quando domani aprirò gli occhi vedrò subito te, amore mio...”, una lettera da piangere, stupenda. Dopo la loro scomparsa un giornale pubblicò la testimonianza di una signora secondo la quale Fellini intendeva separarsi per mettersi con lei, e allora feci pubblicare questa e altre lettere. Fu comunque orrendo, perché il gossip copre sempre la verità».La Masina amava molto viaggiare, e sia Simonetta sia Attilio l’hanno accompagnata più volte in giro per il mondo. «Aveva sempre una valigia da fare o da disfare», ricorda Attilio, «e da qualsiasi parte andasse, Federico la rincorreva tutti i giorni per telefono come se non potessero vivere distaccati». «Il bello», dice Simonetta, «è che all’estero era molto più amata e riconosciuta di Federico. A Buenos Aires e a Rio de Janeiro c’era un tifo da stadio, da Beatles». «Una cosa che mi colpiva moltissimo», dice Attilio, «era il muro dei fotografi: rimanere sotto il lampo di cinquanta flash è uno shock che va provato per capirlo. Lei adorava la sua popo-larità, ma in maniera semplice e non superba: si fermava sempre, saluti, autografi, con disponibilità».
Set famosi? «Ero molto piccolo ma ricordo la grande impressione che mi fece Giulietta degli spiriti, che si girava nella loro villa di Fregene. Quando lo vidi in sala mi resi conto del lavoro che ci vuole per trasformare la realtà in un sogno». «Io l’ho vista lavorare in Ginger e Fred », dice Simonetta, «dove era già anziana. Era la storia di un’attrice sulla via del tramonto, però tenera, non triste, come era lei». «Ha vissuto una vita assolutamente piena», conferma Attilio, «come artista era appagata, non aveva bisogno di affermarsi. Forse l’unico sogno non realizzato è stato madre Francesca Cabrini, essendo molto cattolica le avrebbe fatto piacere interpretare il personaggio». «Mia zia non ha comunque mai sofferto per mancanza di film», prosegue Simonetta, «si è inventata altri lavori, teneva una rubrica sul La Stampa, arredava le case di amici e parenti, invitava gente a casa e cucinava. Faceva un ragù eccezionale, con lo zucchero per eliminare l’acido, una ricetta che ho imparato anch’io. A tavola da lei, Mastroianni era praticamente fisso, ma spesso c’erano anche Lina Wertmüller e il commediografo Salvato Cappelli, con i quali a Fregene facevano grandi giocate a canasta».
Cresciuta, Simonetta è entrata nel mondo dello spettacolo, in Rai è stata regista di Domenica In e di La prova del cuoco. Attilio invece non ha mai lasciato Ferrara e lavora in banca: «Mia zia Giulietta mi ha insegnato a tenere i piedi per terra: se pretendi di avere qualcosa di cui non hai capacità, alla fine della vita ti trovi in mano solo granelli di sabbia. Però alle mie due figlie, che ho chiamato Giulia e Anna, ho fatto studiare musica al conservatorio».