la Repubblica, 17 febbraio 2021
1QQAFM10 Da Boccaccio a Camus, l’epica letteraria della peste
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«Niente di nuovo sotto il sole». L’Ecclesiaste fotografa perfettamente la situazione descritta da Siegmund Ginzberg in Racconti contagiosi (Feltrinelli), un libro scritto in modo brillante e con un tono colloquiale per capire e imparare dal passato. Ginzberg è un sospettoso, come si definisce, diffida dei miti, che per lui non sono mai innocenti, e spesso mentono con scopi precisi, e così li tratta. I virus sono tra noi dall’inizio dell’umanità, anzi ben da prima. Ginzberg non si occupa di virus in modo diretto, ma di tutto quello che accade nel corso delle epidemie, a partire dal loro scatenarsi. Durante il primo confinamento, l’autore ha tenuto sul suo tavolo di lavoro, da un lato, le cronache di quanto accadeva e, dall’altro, una alta pila di libri, saggi, articoli del web, cronache, romanzi; così ha costruito un proprio percorso nel passato prossimo e in quello remoto, per capire come gli uomini hanno affrontato le varie epidemie che si sono succedute nel corso della storia. Sono un numero impressionante, partendo dall’Iliade, dove in forma letteraria Omero racconta la malattia contagiosa che fa strage tra le file degli Achei che assediano Troia. A scagliare la morte nel campo greco è Apollo con il suo arco; vuole punire Agamennone che ha trasformato in concubina la figlia di un suo sacerdote. Quel “niente di nuovo sotto il sole” del libro biblico si applica prima di tutto alle descrizioni della peste, che da Tucidide, Ovidio e Tito Livio passano identiche a Boccaccio. Del resto la letteratura è sempre un raccontare nuovamente, così che le grandi narrazioni delle epidemie arrivano da antichi modelli manipolati, rifatti e riusati. Procopio di Cesarea racconta la peste di Giustiniano, utilizzando le medesime parole di Tucidide. Copiano Gregorio di Tours e Paolo Diacono, e Jacques Le Goff ha osservato come il racconto della peste di Marsiglia del 588 di Gregorio sia identico a quello della peste della stessa città nel 1720, dodici secoli dopo. La letteratura, oltre che un archivio di narrazioni, è anche un deposito di memoria, viene da pensare leggendo le pestilenze descritte da Ginzberg. E non c’è solo la peste, anche il colera fa strage, e Chateaubriand, contemporaneo di Manzoni, cita tra le sue fonti al riguardo i medesimi classici. Un racconto tira l’altro. L’autore deiPromessi sposi è ovviamente assai presente, insieme a Boccaccio, i due grandi autori della peste. I ratti sono gli animali più nominati, loro e le pulci che li affliggono, sono i portatori dello Yersinia pestis; le tracce le hanno reperite persino sulle carte dei certificati di morte del 1630, l’anno della epidemia manzoniana, conservate all’Archivio di Stato di Milano. I ricercatori hanno trovato le proteine tipiche del morbo insieme a tracce di carote, verdure e latte di capra: i compilatori dentro il lazzaretto mangiavano lì sopra, dopo aver preso nota di nomi e dati dei trapassati. I topi non ci sono però nelle narrazioni dei classici, mentre ne tiene in debito conto Camus nel suo citatissimo La peste. Ma di quale peste si tratta: bubbonica o polmonare? Si chiamano con il termine “peste” (parola dall’etimologia incerta) tante malattie come la febbre tifoide, le infezioni batteriche, la tularemia, la febbre di lassa, le febbri emorragiche, e varie zoonosi virali. L’homo sapiens è stato selezionato nel tempo da queste malattie. Le pandemie, poi, arrivano senza preavviso, inaspettate e di soppiatto, e hanno a che fare con l’invisibile, proprio come il Covid 19. Qual è la formula per arrestarle? Ignis, furca, aurum sunt medicina mali, scrive il medico siciliano Giovanni Filippo Ingrassia: fuoco forca e oro. Siamo sempre lì.
Il fuoco sono le misure igieniche, la forca è prenderle su serio e fare rispettare le regole sanitarie, l’oro serve per le risorse finanziarie, senza le quali non si può fare nulla per sostenere la popolazione e ricominciare. Niente di nuovo sotto il sole.