la Repubblica, 17 febbraio 2021
L’Esa cerca astronauti anche con disabilità
Si spalanca una nuova porta che dà accesso allo spazio, e questa volta è più grande e più inclusiva perché aperta anche alla disabilità.
L’Agenzia spaziale europea (Esa) ha annunciato le selezioni per assumere nuovi astronauti a partire dal 31marzo. La classe lavorerà gomito a gomito con quella ancora in forze nel nostro continente, che annovera tra i suoi ranghi anche Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti e sarà pronta a raccoglierne il testimone. Una necessità, a 12 anni dall’ultima selezione, di rinnovare e rinfrescare il corpo: «La capacità e l’esperienza assunta dagli astronauti ora deve essere trasferita ai nuovi – ha sottolineato il futuro direttore generale dell’Esa, Josef Aschbacher – c’è tanto da fare, nuove missioni scientifiche sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), il programma Artemis con la Nasa, e opportunità di volo che nascono da collaborazioni con partner commerciali, o con la Cina».
Assieme ai «fratelli maggiori», sono la generazione che partirà per la Luna e, ottimisticamente, che da qui a una ventina di anni, farà rotta verso Marte. «Ambasciatori dell’Europa nel mondo» secondo Aschbacher. E dell’umanità, fuori da questo mondo. La figura di astronauta è cambiata in mezzo secolo, da quella del top gun a scienziato e ingegnere, riparatore e divulgatore scientifico. Ma resta un esploratore. Che si tratti di indagare il corpo umano, come cavia in orbita, sottoposto alle radiazioni e agli effetti nocivi dell’assenza di peso. O cercare ghiaccio sulla Luna e risorse per costruire la prima colonia fuori dalla nostra Terra.
Alla fine ne saranno scelti da quattro a sei. Meno, molto meno di uno su mille ce la farà. Nel 2008, l’anno dell’ultima selezione europea, le domande furono 8.413, «appena il 16 per cento erano donne – ha spiegato Ersilia Vaudo-Scarpetta, Chief Diversity Officer dell’Esa – vogliamo fare una campagna capillare, per portare lo spazio dove di solito non arriva». Archetipo di buona salute e perfezione fisica (molti di loro sono piloti militari), è quella figura che, almeno da bambini, quasi tutti abbiamo scelto come modello. C’è chi li vede come supereroi, secondo l’astronauta italiano invece «siamo persone normalissime che fanno un lavoro straordinario».
Eppure qualcosa è cambiato. Impareremo a usare una nuova parola, che non suona nemmeno come un neologismo: «parastronauta». Per la prima volta nella storia della civiltà spaziale, chi avrà gli indispensabili requisiti di istruzione e psicologici, potrà accedere non «nonostante», ma in virtù di una disabilità fisica (statura o gravi deficienze agli arti inferiori).
Perché l’obiettivo non è la perfezione dell’uomo, ma il miglioramento di un sistema che non accetta più di tagliare fuori grandi competenze e intelligenze dal luogo dove più di tutti servono ingegno, prospettive originali, e anche fantasia: «Quando non attingiamo a tutte le risorse possibili facciamo un danno a noi stessi – è la riflessione di Parmitano – vogliamo creare un pool di persone qualificate per far partecipare questa eccellenza sempre più grande alle missioni, non è una moda, ma l’evoluzione strutturale del volo spaziale».
L’ambasciata europea nello spazio e per lo spazio dunque salta un ostacolo mai avvicinato, fedele al suo programma di progresso, pacifico, per tutta l’umanità. In fondo, come ha ricordato Samantha Cristoforetti: «La chiave è la tecnologia, nello spazio siamo tutti disabili». Più alti o più bassi, con o senza una gamba o una protesi, lassù siamo tutti alieni.