La Gazzetta dello Sport, 17 febbraio 2021
La vita spericolata di Luigi Sartor
Più che maledetta, la sua è una vita spericolata. Sempre a camminare sul ciglio del burrone, con la sfrontatezza e l’arroganza di guardare giù di sotto per vedere che effetto fa, sempre alla ricerca del limite, qualunque esso sia, lecito o illecito, purché regali una scossa di adrenalina. E poi, canta Vasco Rossi, «ci troveremo come le stars, a bere del whisky al Roxy Bar». L’esistenza di Luigi Sartor, fino all’altro giorno, è stata così: esagerata, fuori dalle righe (e dalle regole). Alla Steve McQueen, insomma. Poi sono entrati in azione gli agenti della Guardia di Finanza e hanno scoperto che un casolare sull’Appennino parmense di proprietà dell’ex calciatore era adibito alla coltivazione di marijuana: 106 piantine, per la precisione. Arresto, interrogatorio durante il quale Sartor ha fatto scena muta e concessione dei domiciliari. Ora non resta che rincorrere i propri guai e, magari, affrontarli avendo la forza di reggere il proprio sguardo davanti allo specchio.
Il record
Gli occhi infossati, le guance scavate, due questurini che lo tengono per le braccia e lo invitano a salire su una Volante: è questo ciò che rimane di un ragazzo che, all’inizio degli anni Novanta venne acquistato dalla Juventus per la cifra record di un miliardo di lire e poi fu il più giovane debuttante bianconero nelle coppe europee, e vinse anche parecchio a Parma (2 coppe Italia, una Coppa Uefa e una Supercoppa di Lega), e indossò pure le maglie dell’Inter, quando in nerazzurro c’era Ronaldo il Fenomeno, e della Roma, quando il capitano si chiamava Francesco Totti. Nel suo curriculum ci sono due gettoni con la Nazionale maggiore, e tutte le presenze con le nazionali giovanili. Non era, all’epoca, un giocatore banale: non un fuoriclasse, d’accordo, ma un buon terzino destro, piede educato e grande corsa. Quella corsa che, sbagliando strada, ha proseguito anche dopo e allora l’immagine del ragazzino prodigio si è andata sporcando con il passare degli anni, tra i disperati tentativi di riprendersi il passato e l’incapacità di vivere un futuro di normalità.
Il buco nero
È l’altra faccia della luna: da una parte c’è il successo, la gloria, l’esaltazione, perfino il senso di onnipotenza; e poi, quando si spengono le luci e sul palcoscenico non restano che i coriandoli a testimonianza della festa avvenuta, sopraggiunge il vuoto. Farci i conti, con quest’assenza di senso, è il vero problema di ogni calciatore al termine della carriera. Sartor non ha avuto il coraggio di affrontare, e di accettare, quel buco nero e, a forza di volerci guardare dentro come se lì si potessero nascondere chissà quali risposte, ci è finito pure lui. Non è il primo campione a buttarsi via, e purtroppo non sarà nemmeno l’ultimo: la storia del calcio, e dello sport in generale, è piena di esempi simili. Vien da pensare a George Best che si ammazzò di alcol fino a farsi scoppiare il fegato, o a Garrincha che per tirare su qualche soldo per la cena accettò di fare il pagliaccio al Carnevale di Rio, o allo stesso Diego Armando Maradona che seppellì la sua arte sotto una montagna di polvere bianca.
Soldi e violenza
Ma Sartor era già entrato nelle cronache giudiziarie. Nel 2011 fu arrestato per la vicenda delle scommesse aperta dalla procura di Cremona: era accusato di aver fatto da intermediario per un gruppo di Singapore che, con denaro di provenienza illecita, investiva in puntate clandestine e dunque illegali. Prescritto questo reato, ne saltò fuori un altro. Ben più pesante: davanti al giudice la ex compagna lo accusò di violenze, commesse anche quando era incinta. Condanna a nove mesi (pena sospesa). Come si vede, dunque, il vuoto ha catturato Sartor ben prima che arrivassero gli agenti della Guardia di Finanza, sollecitati dall’eccessivo consumo di energia elettrica in quel casolare abbandonato e dalle segnalazioni degli abitanti che raccontavano di strani odori provenienti da quel luogo. E così quello che un tempo era un calciatore taciturno, raramente intervistato, da tutti considerato un bravo ragazzo, ora è sul palcoscenico a recitare la sua tragedia. E nessuno che lo aspetti al Roxy Bar per bersi un whisky in santa pace, perché la vita spericolata esiste soltanto nelle canzoni.