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 2021  febbraio 16 Martedì calendario

Parla Sergio Cusani

Nel giorno del ventinovesimo anniversario dell’inchiesta di Mani Pulite, questa mattina alle 8 Raiplay manda in onda una straordinaria testimonianza di vita di uno dei grandi protagonisti di quel periodo: Sergio Cusani. È l’occasione per guardare con occhi ormai disincantanti - e una prospettiva molto umana - il fenomeno giudiziario che all’inizio degli anni Novanta devastò non solo un sistema corrotto ma anche un’intera generazione politica e imprenditoriale, lasciando macerie su cui poi nacquero i vari populismi e sovranismi di oggi.
Sergio Cusani, che tra i protagonisti di quella stagione fu quello che forse pagò più di tutti scontando fino all’ultimo giorno i 6 anni di prigione cui venne condannato, oggi ha 72 anni e fin dai primi piani che ne colgono i segni dell’età scardina l’immagine di finanziere rampante, eternamente giovane, che fotografie e filmati di quegli anni consegnarono alla memoria collettiva: polvere d’illusioni.
«Doveva accadere», dice, «a 72 anni posso cominciare a fare una riflessione anche pubblica». Ed è una riflessione che porta lontano, che interroga sul ruolo del carcere, su quello della giustizia, e in definitiva sul senso della vita, di cui le inchieste non sono altro che l’altra faccia, quella oscura. Cusani parla della sua condanna, diventata definitiva nel 1996, come di «un dono». «La possibilità di vivere le ragioni di quella condanna fu una svolta». Per questo oggi le sue parole, registrate come un lungo monologo accompagnato da immagini di repertorio nel programma Ossi di seppia, suonano di un’autenticità rara e talvolta commovente.
Non è solo il frammento importante di un’inchiesta quel che scaturisce dal racconto di Cusani, bocconiano senza laurea, enfant prodige della finanza degli anni 80-90, consulente di fiducia di quell’imprenditore vulcanico che fu Raul Gardini, ex tesoriere del Movimento studentesco. Quella a cui si assiste in realtà è una grande lezione di dignità che all’epoca non venne capita. «Non risposi allora ma non per omertà. Avrei potuto tranquillamente evitare il carcere, il sequestro di tutti i miei beni, il dolore che ho portato per essere diventato il simbolo mediatico della corruzione. Però non si riduce la colpa spandendola su altri, ma caricandosela sulle proprie spalle». E ciò che non disse all’epoca lo lascia capire adesso: «Se Raul Gardini, che era il leader del gruppo, si fosse fatto processare, io non avrei avuto alcun danno, in quanto lui, da leader, si sarebbe certo assunto ogni responsabilità. Ma col suo suicidio, per lealtà verso di lui e verso tutta la famiglia Ferruzzi, toccava a me».
Il giorno in cui Cusani venne arrestato, il 23 luglio 1993, il suo amico Raul Gardini, artefice dell’operazione Eni-Montedison, si toglieva la vita nella sua abitazione milanese, consapevole di un imminente arresto; due giorni prima si era ucciso in carcere il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, infilando la testa in un sacchetto di plastica. Fu il periodo più tragico e devastante di Mani Pulite. Alla fine, pochi pagarono personalmente. Tra i pochi ci fu Sergio Cusani, che il giorno della sua condanna definitiva, si presentò a spontaneamente San Vittore. Non a caso, è stato poi chiamato come «consulente ombra» dalla stessa Procura che lo aveva accusato per cercare di capire certe alchimie finanziarie di processi poi diventati famosi, ha lavorato con il sindacato della Fiom, ha fatto nascere l’Agenzia della solidarietà, trovando lavoro a oltre 600 detenuti.
«Il carcere», dice, «è il cadavere negli armadi della società, il suo scheletro, il suo dolore». Non c’è una parola che non sia da ascoltare in questa celebrazione atipica di un anniversario che molti preferirebbero dimenticare. Ma c’è un ultimo dettaglio che Cusani non svela e che il cronista pensa sia giunto il momento di rivelare: prima di andare in carcere, tormentato da quella prospettiva, il finanziere si concesse un viaggio in India per conoscere il Dalai Lama che gli rivelò la fitta trama del suo destino convincendolo ad accettarlo. «Ciò che ho ricevuto, penso di avere restituito».