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 2021  febbraio 16 Martedì calendario

Intervista a Paola Egonu

Seduta in treno con le gallerie che si susseguono e il silenzio attorno alla sua voce, Paola Egonu tintinna come una monetina in un salvadanaio. Lei, schiacciatrice dell’Imoco Conegliano, forse la pallavolista più forte al mondo, celebre per le sue bordate a olre 100 km/h e conosciuta anche per il coraggio nel fare coming out, tre anni fa, dopo il Mondiale.
Il presidente del Coni Malagò, in un’intervista a ‘Repubblica’, ha parlato di “un nome a sorpresa” che ha in mente per il ruolo di portabandiera nella cerimonia di apertura dell’Olimpiade di Tokyo.
E se quel nome fosse il suo?
«Mi piacerebbe, sarebbe un onore immenso. Ma io non ho saputo nulla e non ho parlato con nessuno. Però ci spero, è chiaro. Bello, bello.
Ma dobbiamo aspettare. Come si fa a non emozionarsi, al solo pensiero di rappresentare un Paese, il tuo Paese?».
Da dove proviene in treno e dove è diretta?
«Da Roma, torno a Conegliano, a casa mia. Mi sono divertita, era una cosa per la televisione. Saprete presto. Di sicuro fare qualcosa che va al di fuori del campo non mi dispiace. Farsi conoscere in tanti modi, arrivare al grande pubblico è importante, anche per il nostro sport».
Le copertine, le interviste, gli sponsor, la notorietà. È stata anche doppiatrice di un personaggio di “Soul”, film d’animazione della Disney.
«Altra cosa che non avrei mai immaginato di poter mai fare.
Sognaluna, il personaggio che doppiavo, ha dei valori simili ai miei: tenacia, voglia di fare, intraprendenza. Soul insegna a leggersi dentro, ad ascoltare la propria anima e a lottare per quello per cui si crede. Io mi sono emozionata nel riascoltare la mia voce, nel film. Ero incredula».
Tutto questo è iniziato molto lontano da qui. In Giappone, durante il Mondiale 2018, chiuso con una finale persa all’ultimo punto dell’ultimo set. È stata la sua svolta?
«Una grande botta ma anche una svolta per tutte noi e il coronamento di un lavoro di prospettiva che ancora però deve arrivare a compimento».
Tokyo è il punto di arrivo?
«Il nostro sogno, il nostro grandissimo desiderio è tramutare in oro quell’argento di Yokohama.
Si gioca poco lontano dal palazzetto del Mondiale. Torniamo in Giappone per prenderci qualcosa di più grande di quel che abbiamo perso allora».
La Nazionale, causa pandemia, non gioca da un anno. Le manca?
«Moltissimo, sopra ogni cosa».
Quanto è diverso giocare nel club?
«Cambia tutto. In Nazionale si lavora sul lungo periodo. Nel club tutto si decide tra oggi e domani, gli obiettivi sono immediati, le partite si susseguono vorticosamente».
Lei, Paola, come sta?
«La fatica si fa sentire, giochiamo tantissimo ed è molto dura farlo senza pubblico. Il Covid ci ha tolto la parte più bella del nostro sport: vedere la gente emozionarsi, vedere tanti bambini al palazzetto».
Anche a Tokyo probabilmente si giocherà a porte chiuse.
«Lo so, e mi dispiace, perché avrei voluto la mia famiglia a tifare per me. Ma se è necessario, se questo potrà salvare l’Olimpiade, lasciamo che sia. Ho 22 anni, la prossima è fra 3, avremo altre occasioni.
L’Olimpiade ora, pur nella difficoltà del momento, darebbe un segnale di speranza a tutto il mondo».
Pensa che gli atleti olimpici debbano essere vaccinati in maniera prioritaria?
«Sono favorevole al fatto che gli atleti possano fare il vaccino. La gente sa cosa stiamo andando a giocarci, e sarebbe come se ci dicesse “andate lì e fate qualcosa di straordinario anche per noi”.
Sarebbe importante, credo, a titolo di esempio per tutti. Come dire: vaccinarsi è importante. Ma decide la politica».
È tanto che non vede i suoi genitori?
«Purtroppo sì. Loro vivono a Manchester per motivi di studio dei miei fratelli. Ci sentiamo tutti i giorni con FaceTime e WhatsApp, mi mancano da morire, è una condizione alla quale non era pronto nessuno e non sapere per quanto durerà è frustrante».
La cosa più bella che le è capitata negli ultimi tempi?
«Prendere un cane, un bulldog francese, si chiama Noir. Guardo molta tv, ascolto musica, sto studiando un nuovo look per Tokyo, lavoro soprattutto sui capelli, sono a buon punto».
Il ricco Fenerbahçe la vorrebbe in Turchia ed è pronto a offrirle uno stipendio da un milione di euro. Lei che dice? Accetta?
«La cifra è importante, ma nella mia visione delle cose vengono prima altri aspetti: la crescita personale e tecnica, l’amicizia, il sentirmi a mio agio. Ho bisogno di certezze e a Conegliano ne ho tante, ho tutto quello che voglio».
Million dollar baby? No grazie, un’altra volta. È questo il senso?
«Chissà».
Voi dell’Imoco Conegliano da oltre un anno sapete solo vincere: 48 partite giocate, 48 vittorie.
«Sta funzionando tutto alla grandissima, perché siamo una squadra di amiche e abbiamo l’ambizione, ogni giorno, di migliorarci».
Nelle ultime partite è emerso il talento di Loveth Omoruyi, azzurrina classe 2002, di origini nigeriane come lei. Quanto futuro c’è nelle sue mani?
«Nello sport esistono due tipi di persone: quelle che pensano di essere arrivate e quelle che hanno paura di tutto. Loveth appartiene a quest’ultima categoria. Abbiamo origini comuni, ci capiamo al volo.
La vorrei vedere in Nazionale. È bello che stia migliorando grazie all’ambiente e alle campionesse che le girano intorno».
Esprima un desiderio.
«Respirare serenamente, senza mascherine. E rivedere i palazzetti pieni. Sarò superemozionata e supernervosa quel giorno. Sarà come agli inizi. Sarà come tornare a giocare per la prima volta».