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 2021  febbraio 16 Martedì calendario

Ambiente, il 42% delle notizie che circolano sul web è ingannevole

Il rifacimento di un’inesistente “verginità” ambientale della propria azienda e dei propri prodotti per migliorare l’immagine riguarda il 42% delle affermazioni “ambientaliste” fatte dalle imprese su prodotti attivi nell’abbigliamento, nei cosmetici e negli elettrodomestici. Il fenomeno cresce di giorno in giorno di pari passo con l’aumento delle richieste da parte di consumatori e clienti di un’economia e una finanza “verdi”. È il greenwashing, un problema pervasivo perché non consente di distinguere tra chi è sostenibile e chi no, distorce la concorrenza e penalizza chi davvero tiene all’ambiente.
Lo hanno confermato la Commissione Ue e le autorità nazionali di tutela dei consumatori che da poco hanno pubblicato i risultati di uno screening specifico contenuto nell’indagine annuale sulle violazioni delle regole Ue a tutela dei consumatori nei mercati online. Quest’anno per la prima volta l’indagine a tappeto si è concentrata sul greenwashing e ha analizzato le affermazioni “ecologiche” pubblicate in rete. Per le autorità nel 42% dei casi c’è motivo di credere che fossero esagerate, false o ingannevoli e configurino di fatto pratiche commerciali sleali.
La Commissione e le autorità nazionali hanno messo sotto la lente, in particolare, 344 affermazioni “ambientali” apparentemente dubbie. Dall’analisi è emerso che in oltre la metà dei casi non sono state fornite ai consumatori informazioni sufficienti per valutare la loro veridicità, mentre nel 37% dei casi erano stati usati termini vaghi e generici come “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente” o “sostenibile” per suscitare la falsa impressione che non avessero impatti negativi sull’ambiente. Solo nel 59% dei casi sono stati forniti elementi di verifica facilmente accessibili.
Il greenwashing inganna gli attori economici e non offre il giusto vantaggio a quelle aziende che si stanno davvero impegnando per rendere i loro prodotti e le loro attività sostenibili. Alla fine il fenomeno porta a un’economia meno “verde” perché “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”, si legge nel rapporto. Il problema è la moltiplicazione degli standard ecologici delle imprese: una vera Babele dietro la quale c’è il rischio che si celino forme di greenwashing istituzionalizzato realizzate dalle diverse lobby dei settori economici che cercano di farsi ciascuna “regole” ambientali proprie. Secondo la Commissione Ue oggi è difficile dare un senso a etichette e iniziative ambientali di prodotti e aziende. Nella sola Ue oggi esistono più di 200 etichette ambientali sulle oltre 450 presenti nel mondo. Il Green Deal europeo prevede che le aziende che fanno affermazioni verdi “dovrebbero convalidarle rispetto a una metodologia standard per valutare il loro impatto sull’ambiente”. Il piano d’azione per l’economia circolare del 2020 impegna Bruxelles a “proporre che le aziende sostengano le proprie dichiarazioni usando i metodi dell’impronta ambientale”. Solo così, forse, si metterà fine alla babele.