La Gazzetta dello Sport, 16 febbraio 2021
Biografia di Giulio Maggiore raccontata da lui stesso
Magari tra qualche anno le domande le farà lui: «Sono iscritto a Scienze della Comunicazione, mi piacerebbe un futuro da giornalista». Per adesso Giulio Maggiore deve accontentarsi di dare le risposte e raccontare la bellezza dello Spezia e la sua storia personale, che ha il pregio dell’originalità.
Giulio, contro il Milan avete fatto la partita perfetta. L’avevate preparata così?
«L’idea era quella di non farli respirare e di costringerli a giocare palle lunghe e poco pulite. Siamo stati sempre attenti e concentrati, curando ogni dettaglio».
L’azione del suo gol è la fotografia della vostra filosofia?
«Esatto. C’è tutto: pressione alta, velocità, attacco immediato con tanti uomini».
Quel gol ha potuto addirittura pregustarlo.
«In effetti è stato così. Pensavo che Ricci riuscisse a concludere, poi dopo l’intervento di Romagnoli la palla è schizzata verso di me, la porta era vuota e ho cominciato ad assaporare la gioia».
Mezzala, in passato play, quest’anno terzino destro per qualche minuto. Qual è il suo ruolo ideale e il giocatore a cui crede di assomigliare?
«Il ruolo ideale è la mezzala sinistra, mi piace dare un’interpretazione offensiva: so farmi trovare tra le linee, ma devo migliorare nell’ultimo passaggio. Però mi applico molto in fase difensiva, riesco a piazzarmi in modo da coprire le linee di passaggio. Ho tante nozioni dentro di me e anche per questo ho potuto fare il terzino. Il mio punto di riferimento è sempre stato Marchisio, mezzala di inserimento ma anche di grande senso tattico. E infatti ha giocato pure da play».
La mentalità si allena?
«Certo. Noi abbiamo la nostra identità e non potremmo snaturarci. Il modo migliore di difendere è tenere gli avversari lontani dalla nostra area. E in allenamento con il mister Italiano riproviamo le situazioni in cui magari abbiamo sbagliato qualcosa nella partita precedente. Facciamo tutto con la palla, però l’intensità è massima».
Come le venne in mente di andare al provino del Milan con l’accappatoio dell’Inter?
«Avevo dieci anni, fu casuale. Era un accappatoio bianco con lo stemma dell’Inter, squadra della quale ero tifoso e per cui adesso simpatizzo. I dirigenti del Milan mi dissero che lo stemma dell’Inter sarebbe stato meglio lasciarlo a casa».
Come mai decise di lasciare il Milan nel 2012?
«In ritiro a Pinzolo con i Giovanissimi mi infortunai agli adduttori. Poi al rientro a Milano sentii la mancanza della mia vita di sempre, delle mie abitudini. Non ero pronto e così non riuscivo a concentrarmi sul calcio come avrei voluto. Avevo la testa altrove ed ebbi il coraggio di dirlo».
Tra l’esame di maturità e il Mondiale Under 20, scelse la scuola. Fu difficile?
«Non tanto. Per cinque anni avevo fatto molti sacrifici per andare avanti al Liceo Scientifico. Seppi della convocazione un mese prima dell’esame e non volli rinviare la maturità di un anno. Era una questione di principio. E poi i miei genitori mi hanno trasmesso valori importanti».
Bandiera dello Spezia o è pronto per un’altra esperienza?
«Spezia per me è tutto, diventare la bandiera del club sarebbe fantastico. Però sono anche ambizioso. Vedremo quale sarà il mio livello».
Visto che non le dispiacerebbe fare il giornalista, non può dirmi che non legge i quotidiani e soprattutto le pagelle.
«Li leggo eccome. Anche le pagelle... I voti non li discuto, a volte non sono d’accordo con i giudizi. Ma non deve essere facile sintetizzare la prestazione di un giocatore in poche parole».