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 2021  febbraio 16 Martedì calendario

In morte di Leopoldo Luque

È morto il centravanti con i baffoni spioventi, Leopoldo Luque, campione del mondo con l’Argentina nel 1978, al Mondiale di casa sua, e attaccante che a livello di club aveva in gran parte legato la carriera al River Plate, dove giocò tra il 1975 e il 1980. È morto a 71 anni, nella città di Mendoza: si era ammalato di Covid, lottava contro la brutta polmonite provocata dal virus, l’ha stroncato un attacco di cuore. Bertoni, Ardiles, Luque, Kempes, Ortiz: questa la linea offensiva dell’Argentina che vinse il Mondiale del 1978, nella finale contro l’Olanda. Da una parte non c’era Diego Maradona, giudicato ancora troppo giovane dal c.t. Menotti, e dall’altra mancava Johan Cruijff, scosso da un tentativo di rapimento a Barcellona. Finì 3-1 per gli argentini, sotto gli occhi dei generali e degli ammiragli della giunta militare assassina: migliaia di oppositori torturati e uccisi nelle caserme oppure scaraventati vivi nell’Atlantico con i voli della morte. La tragedia dei desaparecidos. Luque in quel Mondiale esercitava la funzione del centravanti tanque, carro armato, anche se lo chiamavano el Pulpo. Apriva spazi per gli inserimenti di Kempes e segnava gol potenti, come quello rifilato alla Francia nella fase a gironi, una partita molto particolare per Luque. La mattina della gara suo fratello Oscar morì in un incidente stradale mentre era in viaggio da Santa Fe, la città dei Luque, a Buenos Aires, per assistere all’incontro. A Leopoldo non dissero nulla né prima né subito dopo il match. Aspettarono che suo padre lo raggiungesse in ritiro e che fosse lui a comunicargli la notizia. «I militari – raccontò Luque in un’intervista al Clarin- si offrirono di accompagnarmi sul posto con un elicottero, ma io rifiutai. Feci tutto da solo, mio fratello era morto carbonizzato e non volevo che i miei genitori lo vedessero». Luque saltò la partita con l’Italia, l’ultima della prima fase, decisa da un gol di Bettega dopo triangolo con Paolo Rossi. Guardò da casa Argentina-Polonia e alla fine il padre gli disse: «Leo, devi tornare in squadra, Dio ha deciso così». E Leo rientrò in gruppo. Contro il Brasile rimediò un occhio nero, glielo procurò Oscar, perché Luque era un combattente del lavoro sporco, le dava e le prendeva. Segnò una doppietta nell’imbarazzante 6-0 al Perù, che valse l’accesso alla finale. Vinse contro l’Olanda nell’ultimo atto. Chiuse il Mundial con quattro reti, trascorse la notte della vittoria a piangere il fratello perduto. Negli ultimi tempi la sua figura era ritornata d’attualità per l’omonimia con un altro Leopoldo Luque, il medico indagato per la morte di Maradona: le assurde coincidenze della vita. Adiós, Pulpo.