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 2021  febbraio 15 Lunedì calendario

Lucy e Attila la prima coppia glamour del nostro calcio

Tu lo devi lascià sta’ a Attila.
Nuovo di Napoli, primi anni Trenta, soubrette, Charleston, velluto rosso, la crema della nobiltà sui palchi e in prima fila. E sopra ogni cosa la bellissima ballerina russa Lidia Johnson, l’affascinante attrazione.
Quella sera c’è anche la squadra del Napoli al completo e lei come consuetudine al termine dello spettacolo gira la celebre richiesta agli astanti: Con chi vorreste fare un figlio fra le ballerine qui presenti?
Inzigante, risposta scontata, no, no, per carità, tutti fanno il nome della propria moglie o fidanzata. Effetto immediato, battimani, risa, all’improvviso si alza Attila, il centravanti, vent’anni, elegante, abito scuro, brillantina, bello come il sole: Veramente io, signora, senza volerle mancare di rispetto, lo vorrei fare con vostra figlia Lucy. La piccola ha solo quindici anni, la più bella fra le tante sul palco, arrossisce, si nasconde e scappa vergognosa dietro le quinte. Il teatro trattiene il respiro. Si è dichiarato così Attila alla sua ballerina, poche settimane e sono fidanzati, altre poche settimane e sono marito e moglie.
Lucy è nata a Mosca, papà è il ballerino inglese Albert Johnson, la chiamano ’a russa, tutti innamorati, fiori a sfinimento nel suo camerino, perfino l’erede al trono il principe Umberto di Savoia le fa una corte spietata e non si perde una serata, si sporge dal suo palco, imbraccia il cannocchiale e con lo sguardo le sfiora le caviglie, le movenze leggere nella danza, il corpo perfetto e quel volto da adolescente. Lui è Attila Sallustro da Asuncion, Paraguay, papà Gaetano napoletano puro finito lì con la sua rivista di successo assieme ai coniugi Johnson, fino a quando la nostalgia lo riporta a casa. Lucy e Attila la prima coppia glamour del nostro calcio. Girano per Napoli e la gente si inchina, ’a russa è la regina, Attila il re, in Galleria c’è una scuola femminile e se l’attraversa corrono tutte alle finestre per ammirarlo, spingono e sbracciano fra gridolini, sospiri e applausi: Attila guardami!
Lui ha lasciato gli studi presto perché vuole fare il calciatore, cresce con una palla di stoffa tra i vicoli del centro e villa Comunale, i medici dicono che è malaticcio, deve fare attività sportiva, suo padre ha altri progetti ma deve cedere quando gli osservatori dell’Internaples lo notano. Però impone la sua legge, niente soldi per giocare a calcio, non si guadagna per divertirsi. Ed è così anche quando viene ingaggiato nella neonata Ssc Napoli. I primi anni sono durissimi ma gli altri creano, lui fa gol, diventa il Levriero, veloce, potente, scatto fulminante, colpo di testa preciso, scardina le difese, i tifosi hanno problemi di equilibrio quando esce dallo spogliatoio e appare. Non è un Napoli grandi firme, ne prende undici dall’Alessandria, dieci dal Torino, ma ha Sallustro, lui e il suo amico Marcello Mihalic finiscono nel giro di Vittorio Pozzo ma qui il centravanti è Meazza, vita dura, i tifosi non l’accettano e seguono la Nazionale solo per gridare il suo nome in faccia al ct. Attila spalanca tutte le porte, la sua immagine non ha confini, vanno a ruba le camicie, le cravatte, i guanti, le scarpe firmate con il suo nome, osannato, venerato, di più. Non ha bisogno di soldi ma al Nord i campioni li prendono e anche tanti. Allora il presidente lo copre di regali, camicie, gemelli, cardigan, orologi d’oro, poi un bel giorno gli regala perfino una fiammante Alfa Romeo 521, il massimo in circolazione. Attila talmente eccitato chiede se può guidarla: Certo, è tua, gli risponde. E sale per farci subito un giro nel quartiere. Alla seconda curva gli attraversa davanti un pedone, non riesce a frenare, lo investe, questo si rialza a stento e si mette a urlare, poi riconosce il suo idolo e s’inchina: Mi scusi, è stata colpa mia, se vuole mi ci può passare sopra un’altra volta!
Poi succede l’inevitabile, al primo calo di prestazioni tutta la colpa cade su Lucy, il suo amore lo debilita: Tu lo devi lascià sta’ a sto Attila. La inseguono, si piazzano davanti a casa e come esce partono gli insulti, così non si può continuare. Quando è chiamata a Roma per il suo spettacolo da tutto esaurito ogni sera, i tifosi temono che Attila finisca per giocare con i giallorossi che infatti gli offrono un ingaggio da 250mila lire. Lucy ha lasciato la compagnia dei genitori, è con i fratelli De Filippo, adesso si chiama Lucia D’Alberti, parti drammatiche in sceneggiate napoletane, riviste di successo con Nino Taranto, Totò, Anna Magnani, è la soubrette più richiesta d’Italia.
Ma trionfa l’amore.
Lucia decide che è ora di chiudere col passato e fare la moglie, la mamma, di lasciare il palcoscenico prima che il palcoscenico lasci lei e decide di stare vicina alla famiglia. Gran bella storia.
Attila un divo, ha portato il Napoli allo storico terzo posto del 1933 a pari punti con il Bologna, undici stagioni e 121 gol, chiude con un anno alla Salernitana, ma Napoli ce l’ha dentro, accetta di allenarci chiamato dal presidente Achille Lauro nelle due ultime giornate di campionato per evitare una retrocessione che fallisce tra le lacrime.
Sarà il presidente dello stadio San Paolo, il suo custode, un attaccamento ai colori supremo, ci vive praticamente fino al giorno della partita che non riesce a vedere e si rifugia in casa per seguirla alla radio. Quando lascia la terra gli vogliono dedicare lo stadio, fra i promotori Diego Maradona, fra gli oppositori il vescovo di Pozzuoli: il nome dello stadio non può passare da un Santo ad un semidio.