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 2021  febbraio 15 Lunedì calendario

Nessuno vuole più vivere nelle grandi città

La pandemia fa crollare i trasferimenti di residenza nelle grandi città. Il risultato, al netto dei fenomeni naturali (nascite e decessi), è un saldo migratorio negativo anche nel 2020 che accentua una crisi già in corso da alcuni anni. È questa la fotografia che emerge dall’elaborazione effettuata dal Sole 24 Ore del Lunedì sulla base dei bilanci demografici mensili Istat, aggiornati fino a ottobre 2020, relativi alla popolazione residente nei comuni capoluogo delle 15 città metropolitane.
Con il virus gli spostamenti hanno subìto una brusca frenata su tutto il territorio nazionale e la nuova “normalità” ha rimescolato le carte nelle scelte di vita. La corsa dei contagi da Covid-19, lo stop imposto per motivi di sicurezza ai weekend nelle seconde case, il crollo del turismo, le limitazioni da e verso l’estero, lo smart working diffuso, la crisi economica: sono tutti elementi che hanno avuto (e avranno) riflessi sulle decisioni a lungo termine delle persone. Dove vivere non è più così scontato e, al netto dei semplici cambi di domicilio che sfuggono alle statistiche, ecco perché diventa interessante monitorare l’impatto sui trasferimenti di residenza.
Nelle città metropolitane, dove vive il 16% della popolazione italiana, i residenti sono in calo da ormai cinque anni. Fatta eccezione per Bologna e Milano, che dal 2015 a fine 2020 hanno visto crescere il numero di cittadini registrati all’anagrafe (rispettivamente del 2,3% e del 4,1%), in media la popolazione nelle grandi città a ottobre risultava in calo del 2,4% rispetto a ottobre 2015, con un trend costante nel quinquennio, confermato negli ultimi 12 mesi (-0,7%). A perdere più cittadini sono Catania (-6,4% in cinque anni) e Firenze (-5,6%), seguite da Messina e Reggio Calabria.
Per vedere gli effetti della pandemia, però, è necessario analizzare più nel dettaglio le variazioni registrate in anagrafe tra gennaio e ottobre 2020, nei bilanci mensili provvisori, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In media nelle 15 città si rileva un incremento dell’8,9% dei decessi, fenomeno che purtroppo ha colpito i centri più densamente popolati su scala globale. Proprio Milano, ad esempio, nel 2020 – dopo anni di crescita e per la prima volta dopo Expo 2015 – ha chiuso il bilancio demografico in negativo: a pesare è soprattutto il +21% di decessi (oltre 4mila morti in più nel 2020), ma anche le tante cancellazioni per irreperibilità (oltre 6.300) e il forte calo delle nascite (più di mille nati in meno).
Oltre al saldo naturale tra decessi e nascite (queste ultime da lungo tempo in flessione, in linea con le statistiche nazionali), il virus ha rallentato anche i cambi di residenza: nelle città metropolitane le iscrizioni anagrafiche sono crollate in media del 23% e le cancellazioni dell’8,7 per cento. E in queste medie sono compresi i trasferimenti da altri comuni, dall’estero e le rettifiche anagrafiche.
A Firenze il calo era già in corso da anni, «circa 20, con un’accelerazione negli ultimi dieci», spiega Enrico Conti, consigliere comunale con delega alla statistica. Colpa dei costi elevati della vita e della trasformazione del centro città sul modello Airbnb, che ha spinto anche a trasferirsi altrove pur di affittare l’appartamento ai turisti. Ma anche di un «effetto ottico» dovuto al passaggio all’anagrafe digitale: «Negli ultimi quattro anni – dice Conti – abbiamo cancellato più di 5mila stranieri che si erano già trasferiti altrove tempo prima. E stiamo registrando fenomeni di “migrazioni di ritorno”, persone che dopo anni rientrano nei Paesi di provenienza». Non necessariamente a causa della pandemia.
L’unica città in controtendenza demografica, anche nell’anno del Covid, è Bologna: il capoluogo emiliano – già vincitore, con la sua area metropolitana – dell’edizione 2020 della Qualità della vita – dal 2015 ha guadagnato il 2,5% dei residenti. «Nonostante l’elevato numero di decessi abbiamo avuto un saldo migratorio positivo da altre città italiane – spiega Mariagrazia Bonzagni, direttore dell’area programmazione, controlli e statistica del Comune di Bologna – e questo ha confermato un trend in corso da decenni: in 20 anni abbiamo guadagnato circa 20mila residenti». Le ragioni? «L’università, la centralità “logistica” e i servizi educativi rendono Bologna una città accogliente», chiosa Bonzagni.
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Destinazione mare, lago oppure hinterland. I cambi di residenza nell’anno del Covid, seppur ridotti in termini assoluti rispetto agli anni precedenti, hanno premiato territori capaci di offrire qualcosa in più, in termini di qualità della vita.

Dal Ticino a Castel Volturno

Il comune di Bereguardo (Pavia), nel parco naturale della Valle del Ticino, senza contare nascite e decessi che purtroppo hanno marcato il bilancio demografico lombardo, in piena pandemia ha conquistato più di 7 nuovi residenti ogni 100 abitanti. Ma anche Castel Volturno, nel Golfo di Gaeta in provincia di Caserta, ha chiuso gli ultimi 12 mesi con ben 740 residenti in più. E tra i centri maggiori, oltre i 65mila abitanti, ben cinque su dieci sono dell’Emilia Romagna, che si conferma così uno dei territori più attrattivi, con un saldo positivo nei cambi di residenza per oltre 1.600 unità anche a Bologna.

La spinta dello smart working

A distinguersi sono i Comuni con il maggiore tasso di attrattività (saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche in rapporto alla popolazione residente) relativo agli ultimi 12 mesi disponibili, suddivisi in base a cinque fasce dimensionali. I dati Istat relativi a oltre 7.900 Comuni italiani, aggiornati a ottobre 2020, considerano i trasferimenti di residenza da altri Comuni, quelli da o verso l’estero e le variazioni legate a irreperibilità o le rettifiche anagrafiche svolte dagli uffici.

A determinare questi picchi sono diversi fattori: trend di lungo periodo legati alla crescita di alcuni centri “satellite” di aree metropolitane, snodi infrastrutturali e viari, immigrazione, oppure scelte finalizzate a conseguire il minor carico fiscale sugli immobili. Ma non solo: le variazioni all’anagrafe nel 2020 sono state influenzate dalle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. Anche se per le autorità poteva bastare un cambio di domicilio a giustificare gli spostamenti, in alcuni casi si è deciso di cogliere l’occasione per un cambio di vita, più o meno temporaneo.

Da Pesaro a San Benedetto

Chi ha lasciato la città, complice lo smart working, ha cominciato ad apprezzare la vita fuori dai centri urbani più grandi. Magari scegliendo di trasferirsi vicino al mare. Se il saldo migratorio di Pesaro è in crescita - da diversi anni - anche a causa della fusione realizzata a luglio con il Comune di Monteciccardo (1,639 residenti), a confermare la fuga verso le spiagge ci pensa San Benedetto del Tronto dove «il saldo migratorio a fine 2020 è positivo per 459 unità», conferma il sindaco Pasqualino Piunti. In pratica, in un anno la popolazione è aumentata di quasi dell’1 per cento. I motivi? «La città vocata al turismo, fortemente attrattiva per qualità della vita, livello dei servizi, importanza attribuita alle relazioni tra le persone. Ci sono tante seconde case - aggiunge il sindaco - che in questo periodo è probabile siano diventate per molte famiglie abitazione principale. Il picco dei trasferimenti è stato raggiunto a marzo quando la pandemia picchiava duro al Nord e qui i contagi erano limitati».

Gli spostamenti «fuori porta»

C’è poi chi è uscito dalla città, per spostarsi a pochi km di distanza. È il caso di chi si è trasferito a San Zeno di Montagna (Verona), paese collinare affacciato sul Lago di Garda: «Abbiamo tante seconde case e ci sono persone che, dopo essersi trasferite temporaneamente, hanno deciso di rimanere», dice il sindaco Maurizio Castellani.

Simile quanto accaduto ad Alta Valle Intelvi (Como): «Molti sono arrivati qui grazie allo smart working e alla posizione strategica tra Como, Milano e la Svizzera», dice il sindaco Marcello Grandi. Il paese si trova immerso nel verde, ma non è il suo unico punto di forza: «Abbiamo potenziato i servizi scolastici, sportivi e di assistenza agli anziani», chiosa Grandi.

Nel verde a Brunico e Cles

A muovere i trasferimenti è poi la ricerca di servizi di alta qualità, in un contesto più a misura d’uomo. È il caso di Brunico, in provincia di Bolzano: «Molte famiglie si sono trasferite anche dai paesi limitrofi - spiega Giorgio Scalzini, responsabile servizi demografici - perché abbiamo scuole, ospedali, siamo un centro amministrativo dove hanno sede anche diverse industrie». Stessa cosa vale per Cles (Trento): «Il paese è un crocevia strategico tra due valli, un punto di riferimento per 50-60mila persone» dice il sindaco Ruggero Mucchi. Che aggiunge: « In un secolo Clès ha quasi quadruplicato il numero di abitanti, attirando anche stranieri, il 12% del totale. Il paese piace anche perché c’è lavoro e l’ambiente è tranquillo».

Le città di Carpi e Aprilia

Aprilia (Latina) e Carpi (Modena), le uniche città non capoluogo di provincia oltre i 65mila abitanti nella top ten dei centri più attrattivi, celebrano un successo che ha radici nel lungo periodo. La città laziale, oltre alla forte presenza di stranieri immigrati, è un territorio-cerniera tra Roma e Latina, dotato di tre stazioni ferroviarie, e deve molto al polo farmaceutico che vanta uno dei tre stabilimenti produttivi italiani di Pfizer: dal Comune fanno sapere che un “neo-apriliano” su 6 nel 2020 si è trasferito da Roma, mentre un altro su 6 dall’estero.

Carpi, invece, è una «città-distretto» in una posizione logistica interessante. Qui si registra anche un lieve aumento delle nascite: «L’incidenza di extracomunitari è rimasta la stessa, molti arrivano dai Comuni limitrofi attratti dalla qualità dei servizi, ad esempio una copertura record nei servizi per l’infanzia», racconta il sindaco Alberto Bellelli. Si sta lavorando per costruire un nuovo ospedale e l’ateneo di Modena e Reggio Emilia ha deciso di aprire qui la facoltà di ingegneria.

In crescita Siziano e Paderno

In Emilia fa scuola anche la meno popolosa Salsomaggiore Terme: «La crisi del turismo termale ha spinto la residenzialità: i prezzi degli immobili sono calati e molte famiglie si sono trasferite - dice il sindaco Filippo Fritelli - anche per beneficiare di una realtà a misura d’uomo, verde, ben collegata e servita».

Motivazione simile ha spinto molti milanesi verso Siziano (Pavia): «È in corso un piano di espansione che ci porterà dai 6.250 residenti attuali a 7.500. Cosa ci rende attrattivi? Servizi e collegamenti, sia stradali sia ferroviari», dice la sindaca Donatella Pumo.

Nell’hinterland milanese a fare la differenze è il caso di Paderno Dugnano, crocevia veicolare e ferroviario importante, dove - anche qui - i prezzi delle case sono più accessibili rispetto al capoluogo o alla Brianza. «Ora siamo afflitti dal traffico, ma chi si trasferisce qui sa che tra qualche anno sarà perfettamente collegato con Milano grazie agli investimenti sulle future metro-tramvie», afferma il sindaco Ezio Primo Casati.