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 2021  febbraio 15 Lunedì calendario

La decadenza dell’albergo Habana Libre

Da icona nazionale di Cuba a hotel (quasi) abbandonato. La decadenza dell’Habana Libre, un tempo fiore all’occhiello del regime castrista, sembra ormai definitiva, tra mobili danneggiati, stanze umide e ammuffite, scarafaggi in libertà e con turisti che scappano lasciando giudizi al vetriolo su TripAdvisor, rilanciati dall’agenzia France Presse.
“Il più grande e più alto hotel dell’America Latina”. Con questo slogan l’Habana Hilton aveva aperto le sue 630 stanze (di cui 42 suite) ai ricchi ospiti – in stragrande maggioranza statunitensi – che svernavano in una Cuba tenuta in pugno dal presidente- dittatore Fulgencio Batista e dalla Cosa Nostra italo-americana. Era il 19 marzo del 1958. All’inaugurazione – cinque giorni di festeggiamenti – venne di persona il vecchio Conrad Hilton, fondatore della dinastia alberghiera più famosa del mondo con al fianco la sua compagna, l’attrice Ann Miller. Accanto a loro trecento selezionati invitati: politici, milionari, boss della mafia, starlette del cinema, cantanti, sportivi. C’era anche Virginia Warren, figlia di Earl, l’uomo che dal 1953 al 1969 ha guidato la Corte Suprema degli Stati Uniti nella più grande trasformazione giuridica degli Usa. C’era Marta Fernandez de Batista, la First Lady dell’isola caraibica e una breve comparsa la fece anche lui, il dittatore, convinto di poter liquidare in poche settimane le poche decine di barbudos, i guerriglieri che guidati da Fidel Castro ed Ernesto Guevara combattevano sulla Sierra Maestra.
Non poteva immaginare che nove mesi dopo, nel Capodanno del 1959, quegli stessi barbudos, diventati decine di migliaia, sarebbero entrati da trionfatori nella capitale di Cuba e che il loro primo quartier generale sarebbe stato proprio il grande e sfarzoso hotel. Disegnato dall’architetto di Los Angeles Welton Becket, divenuto famoso per il Beverly Hilton, costato 24 milioni di dollari dell’epoca (per la quota cubana Batista usò fondi delle pensioni dei sindacati alberghieri), con un casinò affittato ad “amici degli amici” alla cifra record di un milione di dollari l’anno, i fratelli Castro e il Che decisero che il nome, simbolo del capitalismo americano, andava cambiato.
Inizia allora, insieme al regime, anche la nuova vita del grande hotel, in nome dell’Avana liberata dall’odiata dittatura e dai guardaspalle dei boss mafiosi. Nel giugno 1960 viene nazionalizzato, prendendo il nome di Habana Libre. Quando Fidel arrivò all’Avana l’8 gennaio 1959 guidò per tre mesi la nuova Cuba rivoluzionaria dalla stanza (divenuta iconica anche lei) 2324, la Continental Suite. Fu nella sala da ballo dell’hotel che il Lider Máximo tenne la sua prima conferenza stampa, fu dalla hall che rilasciò un’intervista ai media Usa dichiarando che «se agli americani non piace quello che sta succedendo a Cuba, possono sbarcare i marines e allora ci saranno 200 mila gringos morti».
Sessant’anni dopo, quel grande edificio che nel corso dei decenni ha visto passare capi di Stato e ministri, che ha ospitato Valentina Tereshkova, la prima donna nello spazio, e la XVII Olimpiade degli scacchi, presenti i due grandi avversari Bobby Fischer (Usa) e Boris Spassky (Urss) è ridotto a un “hotel degli orrori” secondo una diffusa denominazione corrente. Anche se il regime cubano continua a presentarlo come «uno degli alberghi più emblematici, comodi e lussuosi dell’isola», l’Habana Libre (che resta formalmente un 5 stelle) ha ricevuto dal 2012 migliaia di commenti e voti negativi: «deludente», «terrificante», «abbandonato », «sporco».