La Stampa, 14 febbraio 2021
Stop ai maschi, dice Rosy Bindi
Le donne del Pd sono ancora sottomesse, è il momento di andare a rivendicare la guida del partito, sostiene Rosy Bindi, due volte ministra, per oltre vent’anni protagonista di tutte le evoluzioni che dall’Ulivo di Prodi hanno prodotto il Pd. Oggi è lontana dalla prima linea, non dalla politica. Osserva.
Pd e LeU non hanno donne ministro nel nuovo governo. Che ne pensa?
«Mi dispiace molto, ora immagino che ci sarà un bilanciamento con i viceministri e i sottosegretari nell’affidamento delle deleghe, ma è chiaro che è una grande ferita. Considerando che le forze che hanno dato vita al Pd sono quelle che tradizionalmente si sono battute per la parità, è chiaro che l’assenza di donne stride molto».
Come la spiega?
«Un po’ di responsabilità ce l’hanno anche le donne, un po’ di più di solidarietà femminile non guasterebbe».
A che cosa si riferisce?
«Gli uomini sanno costruire catene di solidarietà maschile, le donne non hanno ancora imparato a farlo, non hanno imparato a difendersi e a promuoversi reciprocamente. Questo è un governo del presidente. I partiti hanno di sicuro segnalato nomi e li avranno indicati anche nel rispetto delle componenti e correnti interne».
E le donne non guidano nessuna corrente.
«Le donne se vogliono contare devono decidersi a assumere dei ruoli politici dentro il Pd. Ce ne sono molte brave, capaci ma prive di una soggettività politica autonoma, troppo spesso gregarie dei capicorrente uomini».
Dovrebbero creare una corrente?
«No, dovrebbero imparare come è organizzato il potere e decidersi a occuparlo. Non con lo spirito del dominio ma con lo spirito del servizio. Devono mettersi in testa che in politica nessuno regala nulla, tutto va conquistato. Poiché l’occupazione del potere decisionale è maschile, finché le donne non si decideranno a competere per una leadership i risultati saranno sempre questi».
Le donne Pd le sembrano ancora troppo sottomesse?
«Sì, manca ancora il riconoscimento di una leadership femminile. Per riuscirci bisogna occupare il primo scalino altrimenti nessuno ti cederà il secondo».
Scalare il Pd fino ad avere una donna segretario?
«Sì, penso che sia il momento per le donne di candidarsi alla guida dei partiti».
Lei ci provò nel 2007, senza riuscirci: 14 anni fa.
«Mi presentai alle primarie. Creai una lista con tanti uomini e donne nel rispetto della parità di genere. Molti uomini autorevoli accettarono e sostennero la mia candidatura riconoscendomi una leadership. Fu un momento importante anche se non vinsi le primarie. E ora è giunto il momento che una donna combatta di nuovo».
Con l’abituale carenza di donne negli esecutivi italiani, il governo Draghi è nato. Che ne pensa?
«Considerato che Renzi ha portato l’Italia a un passo dal baratro, mi sembra una soluzione eccellente per la statura del premier, per l’equilibrio tra partiti e tra politici e tecnici. Gli unici squilibri sono solo quello di genere e territoriali. È un governo che non avrà vita facile ma mi sembra già molto importante essere riusciti a partire».
È un governo che certifica il rientro di Berlusconi.
«Paradossalmente un Berlusconi fragile come è adesso può rivelarsi persino utile mentre quando era potente ha provocato grandi guai».
Giorgia Meloni, unica donna leader di un partito, è rimasta fuori.
«Il dubbio non è come mai Giorgia Meloni sia fuori ma quanto sia autentica la conversione repentina di Salvini all’europeismo. Se però è autentica è benvenuta».
Non le dispiace essere fuori dalla prima linea?
«Ho compiuto venerdì 70 anni. Ho scelto in modo sereno di non ricandidarmi. Sto bene, faccio l’osservatrice anche perché esistono tanti modi di continuare a esercitare la propria passione politica fuori dal Parlamento. Non si può essere contemporanei a tutte le epoche e io non mi sentivo più contemporanea quando ho deciso di chiudere con la prima linea».
Molti altri invece continuano a sentirsi contemporanei anche ai giovani delle prossime generazioni e restano aggrappati al potere.
«Al tempo di Tangentopoli chiesi a una parte della dirigenza Dc di fare un passo indietro ma c’era una questione morale con cui fare i conti. Non sono mai stata favorevole alla rottamazione generazionale, la considero un errore».