La Lettura, 14 febbraio 2021
La nuova sfida di Emanuil Ivanov
«Per l’intervista preferisce che le mie risposte siano brevi e concise oppure discorsive?». Dall’altra parte del telefono risponde molto professionalmente e in un inglese impeccabile Emanuil Ivanov, il giovane bulgaro (è nato nel 1998) vincitore della nuova edizione di uno dei più complicati e tortuosi concorsi pianistici internazionali. Quello di Bolzano dedicato a Ferruccio Busoni, fondato nel 1949 da Cesare Nordio (ora diretto da Peter Paul Kainrath), che può annoverare tra i propri vincitori, giusto per fare qualche più che prestigioso esempio, una Martha Argerich sedicenne nel 1957 (Maurizio Pollini si era messo in luce, ma senza vincere, l’anno prima) e Lilya Zilberstein nel 1997. E che – è successo – può anche non essere assegnato se la giuria non ritiene nessuno all’altezza. Dal 2002, inoltre, il concorso si svolge in due anni: nel primo le preselezioni (un massimo di 80 partecipanti da tutto il mondo) e l’anno successivo la finale. Per il biennio 2019-2020 il vincitore è dunque Emanuil Ivanov (nel suo curriculum ci sono diversi altri premi), che terrà un concerto straordinario alla Scala di Milano sabato 27 febbraio alle ore 20 in diretta streaming (visibile quindi sui siti e social media del Teatro) e l’11 maggio alla Società del Quartetto di Milano.
Quando è iniziato il suo rapporto con la musica?
«A quattro anni. Ma non mi interessava ancora il pianoforte. Volevo diventare direttore d’orchestra».
E poi cosa è successo?
«A sette ero appassionatissimo di Gustav Mahler. L’ascoltavo sempre, anche se, sarà d’accordo anche lei, non è normale a sette anni perdersi per Mahler».
Chi ascoltava in particolare?
«Be’... le esecuzioni di Herbert von Karajan e Leonard Bernstein».
E il pianoforte quando ha bussato alla sua porta?
«Verso quell’età. Volevo uno strumento. I miei genitori me lo hanno procurato, ma fino a nove, dieci anni non lo avevo preso così seriamente come ora».
Ma i suoi genitori sono musicisti?
«No, però amano molto la musica».
Quindi felici per lei e la sua scelta?
«Dico sempre che sono musicista per colpa loro», ride.
Lei ha un’età nella quale i suoi coetanei non ascoltano musica classica. È incuriosito da altri generi?
«Amo il jazz. E ascolto anche il rock progressivo».
Oltre alla musica?
«Non dipingo ma mi piace l’arte visiva in genere e adoro il cinema d’autore di Tarkovskij e di Fellini».
Torniamo alla musica. Nel corso degli studi chi sono stati i pianisti di riferimento?
«Horowitz. Con la fortuna di internet ho visto molti suoi concerti. Ho imparato molto. Poi direi Richter».
Generazioni più giovani?
«Marc-André Hamelin per il repertorio. Arcadi Volodos perché è uno dei più grandi musicisti in assoluto».
Ha portato al Busoni una pagina poco eseguita ai concorsi, il Concerto per pianoforte n. 2 in sol minore op. 22 di Camille Saint-Saëns. Come mai?
«I motivi per cui l’ho scelto sono diversi. Perché mi piace, perché amo la musica francese e perché tendo a prendermi dei rischi».
La reputa una partitura rischiosa?
«Devi avere chiaro in testa cosa vuoi fare. I tre movimenti sono uno espressivo, l’altro tecnicamente scintillante, l’altro veloce e pieno di insidie. Ho scelto questa pagina per mettermi volutamente, come dire?, in una situazione non troppo sicura...».
Anche per il concerto della Scala ha scelto, a fianco di Busoni e Skrjabin, qualcosa di francese.
«Sì, i Miroirs di Maurice Ravel. Per me una delle sue cose più belle. C’è una moltitudine di colori sonori, ci sono emozioni forti e una profonda tristezza».
È mai stato alla Scala?
«No e mi sento onorato. Non vedo l’ora».
Come si immagina fra una ventina di anni?
«Non voglio pensare al futuro. Se uno ci pensa deve anche programmare delle cose e invece ora siamo in un momento in cui è impossibile programmare».