La Lettura, 14 febbraio 2021
L’azienda che produce pagode da 14 secoli
Antico e moderno, in Giappone, sono concetti che tendono a sovrapporsi, a fondersi e talvolta a confondersi. Quel che li tiene insieme è un altro principio – il ma — parola che può indicare il vuoto ma anche e soprattutto, se pensiamo a una costruzione, il legame che questa assenza dà alle strutture che la circondano. Un’assenza che, in definitiva, è il tempo.
Questa visione può aiutarci a capire come sia possibile che un’azienda, fondata nell’anno 578 della nostra era, abbia operato per 14 secoli ininterrottamente fino a giungere all’oggi praticamente identica nel nome e nella struttura, se non fosse per un piccolo «incidente» di percorso (nel 2006) che le ha tolto autonomia decisionale e finanziaria per la prima volta nella sua storia. Ma pur rischiando di essere cancellata dall’elenco delle società edilizie di Osaka, dove è tuttora impressa la data di fondazione, in seguito a un insanabile dissesto finanziario, la Kongo Gumi è sopravvissuta: sia pur sostituendo alla sua guida l’ultimo erede dell’omonima famiglia, Kongo Masakazu – rappresentante della quarantesima generazione – con il signor Ogawa Kanji, vicepresidente della conglomerata Takamatsu. Il quale, molto saggiamente, dopo averne rinegoziato i debiti, ne ha lasciato intatti nome, simbolo e ragion d’essere: la costruzione di templi e pagode buddhisti, secondo l’arte primigenia portata in Giappone sul finire del VI secolo.
Ed è proprio per contribuire allo sviluppo di questa nuova religione, da poco approdata sulle coste del Sol Levante (e ancora piuttosto invisa), che il principe Shotoku invitò tre maestri carpentieri di un vicino regno coreano a trasferirsi a Osaka per costruire quello che sarebbe diventato (e rimasto) il tempio di Shitenno. Uno dei tre portava il nome di Kongo Shigemitsu e, visto lo stato nascente del buddhismo nel Giappone dell’epoca, pensò bene di rimanere e dare il proprio nome a una società di costruzioni sacre che – lui poteva solo sperarlo – avrebbe avuto vita lunghissima. Il segreto? Il concetto di ma, sganciato dalla polvere del tempo. E la trasmissione di padre in figlio (e quando non c’erano maschi: in figlia) dei segreti di famiglia.