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 2021  febbraio 14 Domenica calendario

Il soffio di Ancelotti

Crosby è una cittadina sulla costa inglese a 10 chilometri da Liverpool. Sulla spiaggia ventosa hanno piazzato 100 sculture dell’artista Antony Gormley. Sono figure umane ovviamente destinate all’impassibilità mentre indigeni e turisti si scattano selfie in pose ridicole e vanamente si agitano.
Tra i 50 mila abitanti di Crosby uno si ispira a quegli uomini di ghisa: è Carlo Ancelotti, coach dell’Everton. In settimana ha entusiasmato l’immagine in cui, mentre la sua squadra segna il gol del 5 a 4 al Tottenham di Mourinho in FA Cup (e abbiamo visto allenatori trasformarsi in Hulk per molto meno), soffia sulla bevanda calda che ha in mano, come se quella fosse al momento la cosa più intensa nel suo universo mentale. Su Internet ha avuto più parodie delle moffole di Sanders. I media inglesi l’hanno incoronato. La criminalità l’ha omaggiato di una “visita di cortesia” (per fortuna senza conseguenze).
Intanto, in Italia, in una partita di analoga importanza, tra panca e tribuna si andava di dito medio e insulti assortiti. C’è un valore in Ancelotti che da noi non tutti hanno saputo riconoscere. Napoli-Juventus, giocata ieri, è il derby della sua incomprensione. Dirigenze e tifoserie lo lasciarono andar via come se avessero risolto un equivoco. Non avevano capito loro. La fantasia si è lasciata circuire da scatenatori di inferni, arrotolatori di maniche, guevaristi della tabaccheria accanto. Astenersi gentiluomini.
Ci hanno deragliato decenni di talk show e reality, dove funziona solo chi sbraita: che non abbia nulla da dire non rileva, purché lo dica forte e chiaro. In che programma erano Fognini e Caruso? Chi è stato poi eliminato? Quella di Ancelotti non è indifferenza legata alla soddisfazione marginale decrescente, legge per cui se hai vinto la finale di Champions non puoi entusiasmarti per i quarti di quella che è pur sempre la coppa più antica del mondo. Non è noia di chi ha visto troppe partite e, che sia 5 a 4 o 0 a 1, alla fine uno vince l’altro perde e “l’arbitro manda tutti a prendere un tè caldo” (ma lui lo anticipa). È un perfetto istante di atarassia, il capolinea del saggio che ha viaggiato sul treno con presidenti egolatri, calciatori infantili e l’ondivaga corale di contorno. Sono scesi tutti, stazione dopo stazione, perché hai fatto il vuoto nella tua mente.
Ci sei tu, il lavoro che fai e che ami, le cose che pensi. Questa è la tua vita. La vita è un soffio. Es un soplo la vida, lo cantava Carlos Gardel. La canzone era Volver, tornare. Non tornare, uomo di ghisa. Se resti sulla spiaggia, imperturbabile, finirà che ti faranno baronetto. Sempre meglio che conte.