la Repubblica, 14 febbraio 2021
In morte di Marco Dimitri
Quella di Marco Dimitri, capo del gruppo dei “Bambini di satana” è una storia di coincidenze sfortunate. Ieri è morto a 58 anni e nella stessa data del ‘97 iniziò il processo con l’accusa di violenza sessuale su minori e di profanazione di tombe, che ha segnato la sua vita. Ma la coincidenza peggiore che per questo eccentrico personaggio divenuto celebre nel mondo dell’occulto e dell’esoterismo, è l’essersi trovato al centro di tre inchieste che a metà degli anni ’90 lo condussero in carcere per 400 giorni. Inchieste che scambiarono una eccentrica brigata di giovani dediti alle droghe, al sesso e alle pratiche sataniche per una banda di stupratori praticanti di messe nere.
Un clamoroso errore giudiziario che fruttò un risarcimento di 100 mila euro a Dimitri per la galera patita ingiustamente. La vicenda è molto contorta e ha risvolti talvolta grotteschi, talvolta drammatici. Tutto comincia nel ’95 quando una ragazza di 15 anni denuncia di essere stata violentata durante un rito satanico. Parte un’inchiesta affidata all’allora pm bolognese Lucia Musti. Con Dimitri finiscono indagati anche il suo vice Gennaro Luongo, allora 24enne, Giorgio Bonora di 20 e le due “sacerdotesse” Cristina Bagnolini e Manuela Ferrari. Il “Gran sacerdote” nega le accuse, dice di essere stato incastrato, ma nel frattempo saltano fuori altre presunte violenze, questa volta su una ragazza di 14 anni e addirittura su un bimbo di 3. Gli inquirenti scandagliano la vita di Dimitri e dei suoi adepti. Ne esce un quadro da fumetto horror. La sua casa di via Riva Reno, in centro a Bologna, è un teatrino di luci azzurrate e rosse con alle pareti immagini sataniche, cerchi con inscritto il capro di Belzebù, teschi e il numero 666 che, per un’altra coincidenza, era la cifra finale del telefono del “Gran sacerdote”.
Dimitri si presentava con la chioma corvina a mo’ di aureola sul volto pallidissimo e abiti rigorosamente neri, talvolta brandendo uno spadone che apponeva sul ventre delle ragazze e dei ragazzi come rito d’iniziazione. Rituali più folkloristici che di vero satanismo capaci però di abbagliare la procura bolognese fino a trascinarla in una scia di accertamenti e perquisizioni in mezza provincia. Oltre che nella casa sede della “Bds”, sigla dell’associazione satanista, vengono passati al setaccio alcuni luoghi del parco di villa Ghigi, dove viene rinvenuto un “pentacolo”, un’immagine che richiama il diavolo, del cimitero di Nugareto, sull’appennino nei pressi di Sasso Marconi, e in alcuni villoni nella valle del Reno. Sotto inchiesta finiscono anche i numeri di Kaffeina la fanzine del gruppo. Il risultato è però nullo.
Nel frattempo, il 13 febbraio del ‘97 inizia il processo per un caso che ha ormai risonanza nazionale. Bologna è divisa tra i colpevolisti che stanno con la Procura e gli innocentisti, tra i quali una nutrita pattuglia di studenti di area Dams. L’epilogo giudiziario avviene solo nel 2004 dopo 7 anni, il carcere e un appello all’allora presidente della Repubblica Ciampi in cui Dimitri lamentò quella che definì “una caccia alle streghe”. Assolto e risarcito così come il suo vice Luongo che ottenne 50 mila euro. Il “Gran sacerdote” venne tirato in ballo anche da Gaetano Tripodi arrestato a Roma per aver decapitato la moglie Patrizia ex appartenente al gruppo espulsa nel ‘93. «Se dovessi decapitare tutti quelli usciti dai “Bambini di Satana” – commentò Dimitri – non mi basterebbero i coltelli».