La Stampa, 14 febbraio 2021
Non sparate su Sia
Il film d’esordio alla regia e sceneggiatura della popstar australiana Sia è la storia di Music, una ragazza con una seria forma di autismo (interpretata da Maddie Ziegler), di cui la sorellastra Zu (Kate Hudson) si trova a essere, suo malgrado, la tutrice. Il filo narrativo è spesso interrotto, senza alcun apparente nesso logico, da sprazzi di multicolore e surreale uscita dal mondo. Con l’espediente del musical si producono improvvisi squarci onirici nella trama, dai quali emerge, in un esplodere pirotecnico, la distorsione sensoriale prodotta dal «cervello ribelle» della giovane neuro diversa.
Ai rigidi custodi dell’ortodossia di ogni possibile lettura della disabilità, tutto questo non è piaciuto per niente. Sembrerebbe quasi non sia permesso rappresentare la dissennatezza come forma d’arte, a meno che si usi il triste pennello della grigia consolazione.
Il film (disponibile dal 22 febbraio su MusicilFilm.it) è stato quindi sommerso da critiche acide e apodittiche, nella loro pretesa di sapere come possa vedere la realtà, condivisa da cervelli standard, una persona autistica a basso funzionamento. L’associazione statunitense delle persone con disabilità è arrivata a sconsigliare la visione di Music. Persino la fantastica interpretazione della ballerina Maddie Ziegler è stata bollata come una celebrazione di stereotipi sull’autismo. In realtà è un plausibile esempio di stralunata leggerezza, che potrebbe avere senz’altro una posizione nell’ampissimo spettro degli autismi.
Altre voci sdegnate si sono levate dagli esperti in trattamento di autistici; hanno stigmatizzato duramente alcuni passaggi del film in cui la ragazza viene fisicamente «bloccata», durante i suoi crolli oppositivi. È chiaro che nessun operatore qualificato applicherebbe la contenzione di un soggetto autistico quando «sbrocca», ci sta però che chi non ha mai sentito parlare di «analisi comportamentale applicata», come Zu o il vicino di casa, possa pensare che bloccare con tutto il corpo, sia una maniera per far scemare un’esplosione improvvisa di violenza autolesionista. Io porto ancora dentro il ricordo dei graffi, dei morsi e dei pugni di mio figlio autistico nell’apice delle sue crisi di adolescente. Chi vive ogni giorno l’accudimento di una persona autistica, sa che è una storia d’amore che lascia ogni tanto cicatrici.
Non mi meraviglia il dissenso, è un film sull’autismo che inizia con la morte della nonna caregiver. Perfetta sintonizzazione sull’apice dell’incubo indicibile del «cosa ne sarà di questa persona dopo di me?».Quando la nonna si schianta a terra lascia così in eredità a Zu il fardello di quella ragazza di difficilissima gestione, in perenne isolamento sonoro dal mondo con le sue grosse cuffie sempre inforcate, alla sorellastra che non era certo quella che si dice una persona nella norma. Inquieta, con problemi di dipendenza da alcol, oltre un insieme di evidenti difficoltà che nella visione benpensante non la farebbe certo la tutrice ideale di un’altra fragilità.
Ci voleva un’artista di grido come Sia per dare un calcio all’agrodolce retorico di ogni precedente narrazione fanta-autistica, intuendo una possibile meraviglia oltre lo sguardo visionario della mente autistica. Piuttosto che diagnosticare il buio della ragione, Sia preferisce infilare Zu in un universo di pupazzi ballerini ogni volta che Music le permette di condividere il suo mondo interiore, attraversato da tempeste di coloratissima follia.
Basterebbe un solo fotogramma a far svettare questo film, oltre il coro di chi lo addita per apostasia. È quando Zu, l’alcolista, la spacciatrice, la tossica, un giorno non ce la fa più. Accompagna così la sorellastra in un lindo e pregevole istituto, dove sarebbe stata «sanitariamente» internata. L’aiuta a disfare la valigia in una di quelle stanzette che sembrano obitori, però coglie in un’espressione di Music la consapevolezza della montagna di sofferenza che sovrasta quell’anticamera alla carcerazione a vita. Prende la ragazza e fugge con lei, per riacciuffare finalmente anche la propria di vita massacrata.
La pazzerella, l’essere più fragile di tutta quella catena di marginalità umana che popola la storia, diventa così per ogni rassegnato alla sconfitta, l’oracolo che indica il possibile lembo di felicità a sua disposizione.