La Stampa, 14 febbraio 2021
Molotov contro le Chiese in Svezia
Lapidi divelte, tombe scoperchiate e prese a martellate, molotov contro le chiese, roghi e graffiti sui simboli religiosi. In Svezia c’è un problema. Dopo la stagione delle granate e della guerra tra gang (mai finita), e nonostante gli sforzi del governo per contenere l’intolleranza e sostenere l’integrazione, il livello di allarme è cresciuto tanto da costringere il premier Stefan Löfven ad ammettere che il numero di attacchi alle chiese ha raggiunto un livello inaccettabile.
In soli 6 anni il Brå, il consiglio nazionale per la prevenzione del crimine, ha contato 829 crimini contro i cristiani, la maggior parte attacchi agli edifici religiosi e ai cimiteri. L’ultimo - doppio - attacco ha colpito la chiesa di Spånga a Nord di Stoccolma, un gioiello del 1200 circondato da pietre runiche vichinghe. Nel giro di una settimana è stata prima bersagliata con tre molotov, tre giorni dopo è stata rotta una finestra, versata benzina nella navata e appiccato il fuoco.
Nonostante il governo abbia condannato i «crimini contro qualsiasi fede», riferendosi agli attacchi contro le moschee e le sinagoghe, anch’essi in aumento, a nessuno è sfuggita la posizione della chiesa di Spånga, esattamente a metà strada tra Rinkeby e Tensta, due sobborghi in cui il 90% dei residenti è di origine musulmana, ancora marchiati per i disordini razziali scoppiati nel 2017. Le prevedibili «analisi» su un modello di integrazione fallimentare, soprattutto dopo l’accoglienza record di immigrati dal 2015-2016, hanno ridato nuova benzina ai Democratici svedesi (ultradestra) e un assist a Moderati (destra) all’opposizione, da sempre ostili alle politiche «troppo aperte» del governo a guida socialdemocratica. Ma strategia politica a parte, negli ultimi anni gli attacchi contro le chiese sono diventati quasi una consuetudine, nonostante il tasso di criminalità nel Paese resti tra i più bassi d’Europa: solo lo scorso anno sono state prese di mira quelle di Gottsunda, Uppsala e Rosengård, Malmö. «Un attacco a un luogo religioso è un attacco alla libertà religiosa e va contro la nostra democrazia - ha scritto sulla sua pagina Facebook il premier -. Le persone in Svezia dovrebbero sentirsi sicure nel praticare la loro religione. Chiunque abbia qualcosa di sacro, anche quelli che non hanno fede in dio, - si rendono conto di quanto siano violenti gli attacchi ai luoghi sacri».
La difesa alla religiosità di un premier laico in un Paese laico (8 su 10 svedesi si dichiarano non religiosi o atei) è insomma la difesa della libertà, questa sì una fede tutta svedese, su cui Löfven non vuole fare concessioni. Per questo, ha deciso di rafforzare la presenza della polizia di fronte ai luoghi di culto e stimolato una maggior attenzione contro i crimini d’odio. Inoltre il governo ha deciso di stanziare fondi speciali per la sicurezza (oltre 2 milioni di euro) che serviranno, tra le altre cose, a installare porte anti-effrazione, telecamere e sistemi di controllo di fronte alle chiese.
Il giorno dopo l’attacco alla Spånga, cristiani e musulmani hanno manifestato il loro sostegno insieme, così come fecero quando nel settembre 2020 vennero date alla fiamme copie del corano nelle piazze di Malmö.
Come già successe durante la stagione delle granate, quando in un anno, il 2019, ci furono 257 crimini con uso di esplosivi legati alla guerra tra gang e 320 sparatorie, il rischio è che gli assalti alle sinagoghe - attribuiti ai movimenti neonazisti - e quelli alle chiese - attribuiti ai musulmani - mettano ancora più in crisi il governo dell’accoglienza, a favore della destra dei Moderati guidati da Ulf Kristersson, che da mesi accusa il primo ministro Stefan Löfven di «rifiutarsi persino di ammettere il collegamento tra integrazione fallita e la crescente criminalità».
Il parallelismo tra i due picchi di flussi, nel 2008 e poi durante la crisi del 2015 e l’aumento della criminalità, è l’arma preferita dai Moderati che da tempo chiedono di limitare i flussi: «La Svezia ha bisogno di tempo - ha detto la portavoce per l’immigrazione dei Moderati Maria Malmer Stenergard - per consentire di integrare coloro che hanno già ottenuto asilo».