Corriere della Sera, 14 febbraio 2021
Cartabia da censurata a ministra
Siccome i copioni orchestrati dalla realtà sono sempre più spiazzanti delle sceneggiature di Cesare Zavattini e Woody Allen, la medesima amministrazione giudiziaria-penitenziaria che poche settimane fa negò a un detenuto per mafia al 41-bis nel carcere di Viterbo di poter acquistare il libro della costituzionalista Marta Cartabia e del criminologo Adolfo Ceretti sul senso della pena nelle riflessioni anni 80 del cardinale Carlo Maria Martini, con la motivazione che sarebbe stato «un privilegio» in grado di «accrescere il carisma criminale» del detenuto, da ieri al suo vertice ha proprio l’autrice di quel libro. Buffa inversione di un dettaglio attorno al neoministro della Giustizia, «motore» alla Consulta dello smantellamento degli automatismi nell’esecuzione di una pena invece continuamente da rimodulare con gradualità e flessibilità in base al percorso di ciascun detenuto. Non per buonismo d’accatto, ma per «cura che salvi insieme assassino e città» (David Maria Turoldo nel 1989), dissolvendo l’irrazionalità per cui tanti magari rifiutano il vaccino AstraZeneca perché non protegge in 30 casi su 100, ma accettano come niente fosse un modello di carcere che 70 volte su 100 fallisce a fine pena restituendo alla società persone che tornano a delinquere, alla faccia della sicurezza collettiva e della tutela delle vittime.
Sulla pena giacciono nei cassetti i già pronti lavori della commissione Giostra, che il centrosinistra Gentiloni-Orlando avviò e poi non varò per maldestro calcolo elettorale. Ma la «giustizia come ricomposizione» sarebbe bussola non peregrina pure già sulla prima mina in agenda, la prescrizione, il cui sacrosanto blocco dopo le sentenze di primo grado andrebbe almeno temperato da rimedi compensativi (indennizzi all’assolto o detrazioni al condannato) per il processato che restasse appeso a tempi morti a lui non imputabili.