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 2021  febbraio 14 Domenica calendario

Diritti umani e diplomazia, fine dei compromessi

I diritti umani e civili sono sempre più frequentemente temi caldi delle relazioni interstatali. La morte di Giulio Regeni, vittima di un brutale interrogatorio della polizia egiziana, e le disavventure di Aleksej Navalny, protagonista di una delle più imbrogliate vicende russe degli scorsi anni, sono ormai delicati casi di politica internazionale. 
In altri tempi i governi dell’Egitto e della Russia avrebbero invocato i privilegi della sovranità nazionale, avvolto la vicenda in un velo di silenzio e atteso pazientemente che i giornali si stancassero di parlarne. Oggi questo non è più possibile. Nel caso Regeni molti chiedono l’interruzione dei rapporti diplomatici con l’Egitto. Il governo cerca di fare capire ai suoi cittadini che l’Egitto è un Paese amico con cui l’Italia ha interessi comuni da conservare e coltivare e che la morte terribile di Regeni coincide con una fase in cui quel Paese era minacciato da sanguinosi attentati dei movimenti islamisti (anche se questo non giustifica il comportamento del Cairo). L’Italia può e deve chiedere all’Egitto maggiori chiarimenti, ma senza pregiudicare del tutto i rapporti tra i due Paesi. 
Le stesse considerazioni valgono per il caso Navalny. 
In altri tempi sarebbe stato un problema esclusivamente russo. Oggi le democrazie si credono autorizzate a dare lezioni di libertà e ad applicare sanzioni che nuocciono a chi le impone non meno di quanto facciano male allo Stato «punito». In altri tempi i Paesi avrebbero fatto ricorso alle loro ambasciate per trovare compromessi che avrebbero smussato gli angoli e dato qualche soddisfazione a ciascuno dei due litiganti. Ma nel caso Navalny le ambasciate di Polonia, Svezia e Germania hanno deciso di riconoscere i dimostranti partecipando alle loro manifestazioni. 
Quando la Russia ha annunciato che i diplomatici coinvolti nella vicenda sarebbero stati restituiti al loro Paese, il gesto è parso offensivo. Ma perché Mosca avrebbe dovuto continuare a ospitare persone che avevano preferito manifestare piuttosto che interloquire pacatamente con le autorità locali? I tre Paesi hanno sostenuto che i funzionari volevano soltanto documentarsi, ma la scusa non mi è sembrata convincente. 
Sappiamo che il rispetto dei diritti umani e civili hanno oggi, nella società internazionale, una maggiore importanza di quanta ne avessero quando ogni Stato faceva una politica strettamente nazionale. 
Sappiamo quanto utile sia stato, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il lavoro dell’Onu, del Consiglio d’Europa (dove è nata la Convenzione Europea dei Diritti Umani) e di altre organizzazioni dedicate alla promozione di una maggiore amicizia fra i popoli. Ma se certe forme dogmatiche di internazionalismo umanitario finiscono per avvelenare i rapporti fra gli Stati, sarebbe meglio tornare a un maggiore rispetto delle reciproche sovranità. Forse correremmo meno rischi.