la Repubblica, 13 febbraio 2021
QQAN64YANIMALI Intervista a Arik Kershenbaum
QQAN64YANIMALI
C’è qualcosa di serissimo e rigorosamente scientifico che lega un calamaro, nostro zio Ignazio e un’eventuale ma più che probabile presenza aliena, lassù, da qualche parte nell’universo. Si chiama evoluzione naturale. Arik Kershenbaum, illustre professore di zoologia a Cambridge, dopo aver passato la vita a studiare la comunicazione animale si è chiesto perché mai queste leggi fisiche e biologiche non dovrebbero valere anche per forme di vita non terrestri. E ha scritto un saggio che lega mondi, anzi galassie, infatti si intitola Guida galattica per naturalisti (il Saggiatore), dove il sottotitolo è già un’indicazione di metodo:
Cosa gli animali ci dicono sull’universo.
Professor Kershenbaum, cosa ci dicono, dunque?
«Che esistono certamente leggi universali e che il pianeta Terra non ha nulla di così speciale. Non siamo unici e, io credo, non siamo i soli nel cosmo. Studiare gli animali mi ha portato a dubitare fortemente della nostra unicità».
Possiamo chiamarlo evoluzionismo galattico? E cos’è l’astrobiologia?
«Si tratta dell’investigazione sulle possibilità di vita aliena, senza però basarsi unicamente sulla biochimica come invece la scienza ha fatto finora. Bisogna spingersi oltre: l’evoluzione della vita è il meccanismo da studiare. Ormai è quasi certo che una vita aliena possa davvero esistere, e il rapido progresso tecnologico potrebbe fornirci nuovi strumenti per dimostrarlo. Dobbiamo farci trovare pronti all’appuntamento».
Nel libro lei prova ad immaginarli davvero, questi alieni. E scrive che è più facile ipotizzarne il comportamento piuttosto che la forma.
«Pensiamo alle zebre, pensiamole da naturalisti. Quello che ci interessa è la loro corsa, il comportamento che mantengono in gruppo, ben più delle strisce che hanno sul corpo. Perché il comportamento è indipendente dalla forma, dalle dimensioni o dall’aspetto fisico. Perciò, se penso ad animali alieni li immagino in gruppo, spinti dall’identico bisogno di non trasformarsi in cibo per qualche altro essere vivente. Nutrirsi e non diventare nutrimento, cioè il meccanismo della selezione naturale. Invece la forma dipende da evoluzioni casuali, da coincidenze astronomiche o biologiche che non valgono in assoluto».
Gli alieni comunicheranno tra loro e con noi? Svilupperanno, o hanno già sviluppato un linguaggio?
«La comunicazione è l’aspetto centrale del problema. Gli animali che hanno vita relazionale non possono non comunicare: è una questione di sopravvivenza. Anche i batteri lo fanno. Tutte le società più o meno evolute si fondano sulla comunicazione e l’uomo ha creato il linguaggio, unica specie ad averlo fatto. Difficile dire se saremo mai in grado di rapportarci ad altre forme di vita aliena, anche perché non è scontato che loro abbiano le nostre stesse modalità: potrebbero trasmettere dati e informazioni usando una diversa grammatica. La faccenda, come capirete, è molto affascinante.
Purtroppo, l’estrema lontananza tra i vari mondi può diventare un ostacolo insormontabile: confidiamo comunque nella tecnologia per superarlo. La nostra, o forse la loro».
Perché di questi temi si è occupata più la fantascienza della scienza?
«Perché non avevamo gli strumenti adatti. Ci si è limitati a domande di tipo filosofico, invece la fantascienza ha cercato risposte: quasi sempre sbagliate dal punto di vista scientifico, però le ha cercate. Ma ora siamo a un livello superiore, dove scienza e tecnologia possono formulare ipotesi nuove. Per esempio, si è pensato che nel gas fossile delle nubi di Venere possa esistere la vita, e in qualche modo si andrà a cercarla lassù».
Sul confine tra scienza e fantascienza, ormai più la prima della seconda, si ipotizza che possa esserci vita su due lune di Saturno dai nomi assai suggestivi: Encelado e Titano. Non poi così lontano da casa nostra, no?
«Encelado ha un oceano salato racchiuso da trenta chilometri di ghiaccio: qui la terra è sopra il mare e non viceversa. Invece Titano ha mari sotterranei. Esiste una seria possibilità che ci sia vita nell’una come nell’altra luna, infatti sono state considerate missioni spaziali per appurarlo. Per la verità, non sappiamo neppure come si sia formata la vita sul nostro pianeta, e quale sia stato l’evento scatenante.
Ma se questo evento non era così improbabile, e al proposito viene in soccorso la matematica, le possibilità che sia accaduto anche altrove si ampliano. Qualcosa in più di un’opzione».
Lei scrive che se esiste Dio, la teoria dell’evoluzione aliena non regge più.
«Dio non è testabile e non può rispondere a domande scientifiche, riguarda semmai religione e filosofia. Questo non impedisce di pensare la vita in altri mondi».
Per come li immagina lei, gli alieni sono creature sociali. Anche socievoli?
«Credo di sì, ma dovremo essere in grado di decifrare i loro messaggi. Se gli alieni saranno capaci di spingersi fino a noi, vorrà dire che avranno sviluppato una tecnologia così evoluta e sofisticata da essersi messa alle spalle qualunque pulsione primitiva bellicosa. La fantascienza, raccontando di marziani nemici e crudeli parlava di noi, cioè degli esseri umani. Immagino, per gli alieni, un percorso evolutivo simile al nostro, e probabilmente più avanzato. Dunque, l’ipotesi che possano invaderci con cattive intenzioni non mi preoccupa nemmeno un po’».
Professore, l’uomo deve smettere di sentirsi il centro dell’universo?
«Sì, perché quasi certamente non lo è. Inoltre, se studiassimo e rispettassimo di più le diverse forme di vita sulla Terra, capiremmo che altre forme sono possibili anzi probabili nel vasto universo. Non c’è bisogno di antenati biologici simili per condividere percorsi simili. Noi uomini ci sentiamo più vicini agli scimpanzé che ai ratti, ma più ai ratti che ai funghi: è ragionevole ma non è tutto. I delfini sono tra gli animali più amati dall’uomo perché giocosi e benigni, però sono diversissimi da noi. Se un giorno scoprissimo che gli alieni cantano, ballano e fanno figli, di certo ci sentiremmo più legati a loro».
Lei sostiene che dobbiamo imparare ad accettare un tipo diverso di umanità: ipotizzare creature aliene può servire allo scopo?
«Credo di sì. Chi siamo e come siamo non è una coincidenza, ma risponde a leggi specifiche che governano l’universo. Ritengo rassicurante pensare gli alieni non poi così diversi da noi».