La Stampa, la Repubblica, 13 febbraio 2021
Casalino racconta Casalino
Andrea Malaguti, La Stampa
Il bambino sdraiato nella vasca da bagno si chiama Rocco Casalino e ha nove anni. È terrorizzato e abbraccia sua sorella sperando che il padre non sfondi la porta e sfoghi la sua furia ubriaca anche su di loro. Anche.
Perché adesso si sta accanendo su sua moglie, la mamma di Rocco. Urla che vuole fare sesso con lei, ma lei lo prega di lasciarla stare, solo che lui se ne frega di quelle preghiere. La picchia, la umilia, la violenta. Succede spesso. E il bambino giura dalla vasca che non lo perdonerà mai. «Un dolore così feroce non l’ho più provato».
Odia suo padre. Non lo nasconde. E quando, tredici anni dopo, lo trova boccheggiante in un letto d’ospedale, con un tumore ai polmoni che lo sta consumando, lo fissa come se fosse uno scarafaggio e sente una voce dentro di sé che dice: «Muori. Devi morire. Muori». Quell’ex operaio di 44 anni venuto dal Sud, con i capelli neri come la pece e un corpaccione da lottatore, è l’unico esempio di capo famiglia che conosce. Ed è un esempio che fa schifo. «Almeno fino a quando incontro Giuseppe Conte e lo vedo parlare con suo figlio. Li guardo ridere. Poi penso alla mia mamma meravigliosa che ha solo 17 anni più di me e a quell’uomo orrendo che chiamavo padre e capisco che non tutte le famiglie sono come la mia, tanto meno tutti i padri».
Figlio di operai pugliesi, emigrato in Germania, bullizzato dai compagni di scuola, genio del computer, studente modello, laureato in ingegneria all’università di Bologna e divinità del Grande Fratello, omosessuale – prima represso e infine orgoglioso – clown del circo pop della tv, giornalista, militante politico, addetto alla comunicazione dei Cinque Stelle e infine del presidente del Consiglio della Repubblica italiana.
Se vai da un produttore a presentargli una sceneggiatura così ti prende per scemo, invece è tutto scritto nero su bianco. Il libro si chiama «Il Portavoce», esce lunedì (Piemme) ed è la storia autografa di Rocco Casalino, brindisino nato a Frankenthal, punching ball perfetto di ogni tipo di pregiudizio, prodotto commerciale canalecinquesco più di ogni altro, comunista teenager e consumista per ripicca, superficiale e profondissimo, capace di parlare cinque lingue, di sedersi a tavola con Putin e di preparare piani quotidiani per far cadere il governo Renzi. «Quando stavo all’opposizione, era quello il mio lavoro».
Spin doctor e spia, velenoso e fedele, un compendio surreale di quanto ciascuno di noi possa essere tutto e niente nello stesso tempo. Lui ha deciso di essere tutto. Piaccia o no, alla fine ci è riuscito. E quello che trovate in questo articolo tra virgolette ce lo ha raccontato lui ieri provando inutilmente a sottrarsi a messaggi e telefonate, il resto è «Il Portavoce».
«Quando a Parigi ho visto il mio nome di fianco a quello di Angela Merkel e Emmanuel Macron su una tavola apparecchiata per la sera, non ho resistito a scattare una foto con il cellulare. Ingegner Rocco Casalino. Sarà anche da provinciali, ma è stato bello». E più bello ancora sarebbe stato se una telecamera avesse rimandato le immagini nelle case dei compagni tedeschi che lo trattavano come merce avariata, gridandogli «formaggino mangia spaghetti», uno dei tanti lividi che gli sono rimasti sull’anima. O magari al suo padre maledetto o alle signore del supermercato che ancora adesso lo fissano dandosi di gomito e sussurrando «te lo ricordi quello della tv?».
È cambiato. Senza cambiare mai. A caccia del riconoscimento del padre che non arriverà e dell’abbraccio troppe volte insincero del fiume di gente che inevitabilmente lo circonda, considerandolo un esempio o un pagliaccio a seconda dell’aria che tira.
Non ha mai avuto la sindrome dell’impostore perché crede che gli impostori siano gli altri, gente schiacciata da ovvietà prive di riflessione. E perché è riuscito a destreggiarsi nel Walalla della politica mondiale con un’abilità da contorsionista cinese del Cirque du Soleil. «Tanti sono meno intelligenti di me. Ai grandi incontri internazionali mi guardo intorno e cerco di inquadrare i colleghi. Io posso parlare con chiunque, in qualunque lingua. Loro spesso no. Ho capito in fretta che non ero fuori posto. Mi piace fare un gioco. Quando incontro qualcuno che non mi sembra all’altezza lo cerco su Google. In genere viene da famiglie di un certo tipo». Di che tipo, Rocco? «Famiglie che sanno come trovarti un posto nella vita. Io, il mio, me lo sono guadagnato».
Sbruffone e delicato, pomposamente egoriferito e studioso delle fragilità altrui, le montagne russe del Grande Fratello hanno orientato la sua seconda vita nel bene e nel male. Insegnandogli a barare per vincere un reality e a rinnegare se stesso per guadagnare soldi e ancora meglio, punti di share. Una lezione imparata assieme a Pietro Taricone (quando ne parla si commuove ancora) e perfezionata con Maurizio Costanzo. «So come tenere assieme l’alto e il basso. Come spiegare la politica a un pubblico popolare e non particolarmente colto. Sono convinto che queste siano la mia forza e il mio talento. Non sono ideologico e non mi fossilizzo sulle mie idee». Concavo e convesso, perfetto per il grillismo eppure il contrario del cinquestellismo militante. Pop e spettacolare, televisivo e sartoriale. Facile capire l’immediata simpatia di Beppemao per lui. Anche l’orientamento sessuale, finalmente vissuto alla luce del sole, è diventata un’arma potente. «L’omosessualità mi ha aiutato. Grandi filosofi erano gay, i più grandi artisti, molti stilisti. Abbiamo questa dote di valorizzare le persone. Arricchiamo la bellezza, miglioriamo le situazioni. Il gay “suggeritore” dietro le quinte è tutt’altro che una cosa strana. Lo vedo adesso che ne ho incontrati molti all’estero. Molto spesso quelli che ricoprono il mio stesso ruolo sono omosessuali. Ma adesso basta amò, lasciami andare e non farmi domande sulla politica che mi metti in difficoltà». Una sola, Rocco, dai. Chi butteresti giù dalla torre tra i due Mattei, tra Renzi e Salvini? «Questa è ovvia, no?». Se è ovvia dillo. «Non lo dico». Renzi che ha pugnalato il nuovo padre e amico Giuseppe Conte? «La cosa è complessa. Lascia stare. Renzi parla benissimo di me in privato. Magari lo facesse anche in pubblico. Ma è il mio destino. E insomma, ecco, no, proprio non rispondo». Dunque Renzi. «Tanto scrivi quello che vuoi».
Difficile capire se «Il Portavoce» racconti la storia dell’uomo più fortunato o di quello più sfortunato del mondo. Ma è ovviamente una grande storia. «E non è finita, amò, sono già in campagna elettorale per i Cinque Stelle, ho grandi progetti». Tipo? «Io a Palazzo Chigi ci torno di sicuro». Verrebbe da rispondergli: «Sì, e io divento Papa, Rocco», ma poi ci si sente come Fassino che dice a Grillo «fatti un partito tuo se ci riesci» e si sa come è andata a finire. «Il Portavoce» invece non finisce. Prepara solo la strada al secondo volume. Più che un libro una terapia, perché nella vita quasi sempre vince l’oblio, ma non è un buon motivo per diventarne complici. —
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Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica
Rocco Casalino sa di essere molte cose insieme. Il ragazzo che faceva strategie nel confessionale del Grande fratello e l’uomo che spiega il Movimento ad Angela Merkel mentre mangiano una coscia di pollo panata.
Il bambino che ha sofferto l’indigenza estrema, il bullismo e il razzismo in Germania e lo stratega delle Ong taxi del mare e del balcone su cui Di Maio annunciò di aver abolito la povertà. Quel che racconta, nella sua biografia – Il portavoce , in uscita per Piemme il 16 febbraio – è insieme la storia di un’ossessione, il reality vissuto come uno stigma, e quella di un riscatto, «quando sono entrato nel Movimento mi guardavano con schifo, mi sono guadagnato il loro rispetto».
Questo libro si apre in modo molto crudo: la violenza di suo padre su sua madre, soprattutto, poi su lei e sua sorella. Il "devi morire" che ha pronunciato l’ultima volta in cui l’ha visto. Ha davvero perdonato, l’estate scorsa, in quel cimitero in cui è corso a dirgli addio?
«È difficile, quando hai una ferita così grande. Anche solo poterne parlare, raccontarlo, ha richiesto un lavoro enorme su me stesso. Perché da un lato c’è la rabbia, il dolore, ma dall’altro c’è il fatto che quello è tuo padre e questo legame, ti piaccia o no, non puoi reciderlo. Parlarne in quel modo, nel libro, è stata una violenza per me, un nuovo dolore.
Però è servito, mi ha aiutato a superare questa lacerazione, forse grazie a questo sono riuscito a perdonarlo davvero».
Ci sono due figure di cui parla come fossero paterne: Giuseppe Conte e Gianroberto Casaleggio.
«Entrambi rappresentano per me un esempio di cosa voglia dire essere uomo e padre. Sono legato ad entrambi da un profondo sentimento di stima e affetto».
Di Casaleggio dice: nessuno mi ha mai fatto sentire così protetto. Noi osservatori ricordiamo il Casaleggio punitivo, dall’espulsione facile.
«Quello che gli osservatori esterni vedevano erano il suo rigore morale e la sua granitica coerenza. Agiva come fa una leonessa con i suoi cuccioli».
Questo libro esce nei giorni in cui "il portavoce" lascia Palazzo Chigi.
E contiene almeno cinque vite: quella del bambino figlio di immigrati bullizzato dai tedeschi; del ragazzo che in Puglia scopre i sentimenti e il comunismo; il grande Fratello e i soldi facili; poi ancora il giornalismo e l’inizio dell’avventura con il M5S. Cosa pensa di fare ora?
«Una parte di me, quella profondamente legata al Movimento, mi spinge a tornare lì, anche in vista di una campagna elettorale che non vedo poi così lontana. So che potrei dare un contributo fondamentale.
Un’altra parte di me, però, è tentata da nuove esperienze e progetti».
Scrive che ottiene sempre quello che vuole. Lo pensa ancora?
«Sono fortemente convinto che alle prossime elezioni, magari tra un anno o un anno e mezzo, il Movimento possa recuperare consensi. Vorrei si agisse già in un’ottica di campagna elettorale subito».
La sua vita in Germania, gli insulti, la sabbia messa dai colleghi nel cibo di sua madre, le baracche, la povertà che ha conosciuto rendono difficile capire come possa essere stato lei a promuovere slogan come le Ong taxi del mare.
«L’immigrazione è un tema complesso, sono convinto che bisogna trovare un modo per regolarizzare i flussi in modo da evitare che la situazione degeneri facendo crescere intolleranza e razzismo».
La televisione le ha fatto tirar fuori il lato peggiore di sé. Ma è stato lei a spingere il M5S a superare il tabù per la tv, a usarla. È come se fosse convinto di saperla manipolare.
«Manipolarla è una parola che non mi piace, preferisco piuttosto dire che so usarla in maniera efficace. La tv è uno strumento da maneggiare con cura: ancora oggi vengo ricordato per alcuni interventi televisivi dove chiaramente interpretavo un personaggio costruito, paradossale, come se quella fosse la mia natura».
Scrive che era meglio quando l’omosessualità si doveva nascondere. Ne è sicuro?
«In quel passaggio mi riferisco all’erotismo che derivava anche dalla costrizione di vivere le proprie esperienze segretamente. È chiaro che sono molto felice che oggi sia (più o meno) accettata dalla società».
Dice: «Se ci fosse una pillola per diventare etero, la prenderei».
«Ho vissuto questa esperienza con sofferenza, per la difficoltà di trovare un amore stabile. Oggi sono convinto che se fossi stato etero avrei trovato il grande amore della mia vita».
Del suo passato in Rifondazione aveva detto, ma di quella volta in cui Veltroni - su intercessione di Rutelli - voleva candidarla a Brindisi no. Si è mai pentito di non essere entrato in politica allora?
«No, con il senno di poi riconosco che all’epoca non ero ancora pronto».
L’addio di Di Battista potrebbe essere l’inizio di una scissione.
Secondo lei è ancora evitabile?
«Conosco Di Battista benissimo e sono convinto della sua buona fede e grandezza d’animo. Non credo che farà qualcosa che possa danneggiare il M5S. Io penso che si possa ricucire, magari serve la persona giusta che possa riportare l’armonia».
Potrebbe essere Conte?
«Spero proprio che i destini di Conte e del Movimento siano destinati a intersecarsi».