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 2021  febbraio 13 Sabato calendario

12QQAFM10 Storia di un’amicizia a Venezia

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Nel 1992 l’americano Harold Brodkey e sua moglie si aggiravano per le calli di Venezia, ospiti della Serenissima per tre mesi. A lui, accostato di volta in volta a Wordsworth o Milton, per Harold Bloom “un Proust americano”, osannato dall’editor Gordon Lish ma pure criticato da chi lo reputa narrativamente logorroico e stilisticamente ridondante, il Consorzio Venezia Nuova aveva commissionato la stesura di un libro, da distribuire fuori commercio, per “narrare la città della laguna”.
Brodkey – che per scrivere la sua opera prima, L’anima che fugge, per Lish “l’unico romanzo necessario del 900”, per altri un bildungsroman indigesto, impiegò quasi trent’anni (a chi glielo faceva notare rispondeva ironico: “Goethe ne ha impiegati 60 per scrivere il suo Faust”) – chiarì subito che non sarebbe riuscito a completare la stesura fintanto che stava a Venezia: lo avrebbe fatto una volta rientrato a New York. Il fascino irresistibile della città, che amava girare a piedi, lo distraeva troppo. Il libro in questione è Amicizie profane, edito da Mondadori nel ’94 e ora riproposto da Fandango, come tutti gli altri.
Di Venezia, Brodkey scrive così: “A Venezia si brucia pian piano” (sì, si sente l’eco di Morte a Venezia di Mann) e quel bruciare ha a che fare coi sentimenti quando consumano fino alle braci. La fama, benché ancora modesta, di Brodkey in Italia si deve al lavoro di traduzione di Delfina Vezzoli e al regista teatrale Pippo Delbono che durante un viaggio in Birmania s’imbatté casualmente, innamorandosene, nel memoir Questo buio feroce, sugli anni successivi alla diagnosi di Aids, in attesa della morte, occorsa nel ’96, e decise di trarne l’omonimo spettacolo teatrale nel 2009.
Cuore di Amicizie profane è la travagliata e complessa storia di amicizia e amore tra l’americano Niles, detto Nino, voce narrante, il cui padre è un romanziere amico di Hemingway, e l’italiano Onni, figlio di un funzionario fascista. La conoscenza sbocciata negli anni 30 sui banchi di scuola veneziani, ancora bambini, è destinata a durare, tra infiniti alti e bassi, fino ai sessanta suonati, quando Nino è scrittore affermato e Onni attore di fama, tormentato dalla bramosia di successo. Imperniato sull’arduo recupero dei ricordi, che nella mente di Nino non sono mai davvero in grado di restituire la tangibilità del momento vissuto (“Il ricordo è soltanto una luce, un faro puntato, a volte intimorito e a volte sfacciato, una luce discontinua generata dalla mente e proiettata dentro una soffitta-universo di momenti antichi, le cui tracce sono nel proprio cervello”), e sull’analisi maniacale degli abissi della coscienza, la narrazione alterna momenti di tenerezza e complicità ad aspri conflitti, avvicinamenti a rifiuti, in un ritrovarsi e allontanarsi incessante, tra odio e amore, che assume i tratti dell’ossessione morbosa.
Diametralmente opposti, Nino riservato, cerebrale, rigido, puritano, sentimentale, Onni arrogante, egocentrico, mondano, tranchant, lascivo, molesto e molestatore, perché a sua volta abusato in tempo di guerra, si provocano verbalmente, fisicamente e sessualmente nottetempo. Protagonista pulsante, mai solo sfondo, è una Venezia scintillante ma oscura di vicoli stretti e distese d’acqua increspate a incorniciare quella che è, a tutti gli effetti, un’apocalisse emotiva.