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 2021  febbraio 13 Sabato calendario

Intervista a Mihalj Hardy, direttore dell’ultima radio libera ungherese che Orban ha chiuso

Da mezzanotte di domani, Klubradio, l’ultima voce del giornalismo indipendente ungherese, verrà silenziata per un cavillo burocratico che ha permesso il ritiro della licenza: “Formalmente la sentenza fa riferimento alla violazione del regolamento che stabilisce le quote di musica e notizie nazionali e internazionali da trasmettere, ovviamente ci sono precedenti di violazioni più gravi del nostro, abbiamo fatto ricorso alla Corte, che però non ci ha difeso”, riferisce Mihalj Hardy, direttore della leggendaria emittente.
Direttore Hardy, è stata una scusa che il governo ha usato per farvi chiudere?
Certo. Il premier Orbán ha dato un occhio al calendario: nella primavera del 2022 ci saranno le elezioni parlamentari. Fino ad allora ha tempo di eliminare tutte le voci indipendenti. Anche se ci definiscono una radio di sinistra e liberale, ribadisco che noi forniamo un servizio pubblico, critico e senza appartenenza politica, che funziona su base commerciale. Siamo una radio di notizie, di dibattiti e programmi di politica e cultura. Dal 2010 viviamo solo delle donazioni del nostro pubblico e, in dieci anni, abbiamo ricevuto in pagamenti e abbonamenti oltre quattro milioni di euro.
Se non ci sarete più, chi indagherà il governo Orbán e i suoi scandali?
Il 95% del panorama mediatico ungherese è di proprietà di investitori vicini a Orbán o controllato direttamente dai suoi uomini. Resta qualche giornale locale e siti marginali ancora indipendenti, ma non sono abbastanza forti da influenzare il dibattito pubblico.
Come è cambiato il suo Paese da quando il sovranista è al potere?
Non sta facendo niente di buono per l’Ungheria: la sua leadership sta portando l’economia al collasso. Perfino Romania e Slovacchia stanno facendo meglio di noi, mentre una volta eravamo pionieri nella regione dell’Europa orientale. Il mio Paese adesso rimane indietro perché la politica governativa ci danneggia innanzitutto finanziariamente, è una dittatura in cui i soldi finiscono nelle tasche di Orbán, dei suoi amici e parenti.
Lei e i suoi giornalisti cosa farete da lunedì prossimo?
Noi continueremo come radio libera, con lo spirito combattivo che ci appartiene, abbiamo un obbligo verso il pubblico. Continueremo a trasmettere sul Web: ovviamente non sarà lo stesso e manterremo, secondo le stime, solo il 20 o 30% del nostro pubblico di ascoltatori.
Prevede cambiamenti nel prossimo futuro?
La nostra opposizione è frammentata, sia a destra che a sinistra. Forse i giovani si stancheranno di questo sistema, ma ci vorrà tempo. Almeno 500 mila persone hanno varcato il confine e lavorano all’estero: i migliori, i più brillanti se ne sono andati e non vogliono tornare.
Perfino Bruxelles ha rimproverato Budapest. La Commissione europea si è seriamente preoccupata per il pluralismo e la libertà dei media in Ungheria e per il caso di Klubradio. Contate sull’aiuto dell’Ue?
Nessuno risolverà il problema ungherese, se non gli ungheresi. Ma ogni aiuto è benvenuto e i contribuenti europei dovrebbero sapere che le loro tasse finiscono nelle tasche del nostro primo ministro, che i budget europei vanno a finire nei conti dei suoi tirapiedi.
Trasmettete ormai da 20 anni, siete un pezzo di storia dell’Ungheria libera, nata dopo il collasso dell’Urss. Si aspettava di vedere tutto questo?
Non è per questo che le persone hanno combattuto nel 1989 e 1990, è stata un’opportunità storica perduta e adesso stiamo tornando indietro. Gli uomini del sistema Orbán controllano tutto e temo che più che delle elezioni per mandarli via, ci vorrebbe un altro 1989.