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 2021  febbraio 13 Sabato calendario

Martina Rossi non si suicidò. Lo dice la corte d’appello

“Un errore macroscopico”, “sottovalutazioni” e soprattutto una sentenza, quella di Appello, caratterizzata da “incompletezza, manifesta illogicità e contraddittorietà”. Con queste motivazioni la terza sezione penale della Cassazione ha smontato la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 28 luglio che aveva assolto due giovani di Arezzo, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, per la morte di Martina Rossi ordinando un nuovo processo di secondo grado. La 20enne di Genova era morta il 3 agosto 2011cadendo dal balcone di un hotel di Palma di Maiorca, dove si trovava in vacanza: secondo la Procura di Arezzo stava sfuggendo a un tentativo di stupro e il 14 dicembre 2018 i due giovani erano stati condannati dal Tribunale di Arezzo a 6 anni.
A giugno scorso i giudici d’appello avevano ribaltato la sentenza assolvendo i due perché il fatto non sussiste, mentre l’accusa di morte come conseguenza di altro reato si era prescritta a novembre 2019: secondo i giudici di Firenze, anche se un’aggressione sessuale “non può del tutto escludersi”, le modalità della caduta della giovane era “dissonante con l’ipotesi di un tentativo di fuga e dal tentativo di violenza sessuale”. Ma i giudici della Cassazione nella sentenza in cui ordinano un nuovo processo, spiegano che, quando è caduta, Martina Rossi non aveva i pantaloncini e questo “appare difficilmente collegabile con un tentativo di suicidio”. Non solo: gli ermellini accusano i giudici fiorentini di aver fatto, tramite un “esame invero superficiale del compendio probatorio”, un “macroscopico errore visivo di prospettiva nell’esaminare alcune fotografie, quanto all’individuazione del punto di caduta, individuandolo nel centro del terrazzo”. Così facendo – si legge nella sentenza – sono stati “depotenziati tutti gli elementi fattuali certi della scena del tragico evento come emergenti dagli atti” e con un ragionamento “di evidente incongruenza logica” i giudici “hanno assolutizzato le dichiarazioni del testimone oculare della precipitazione di Martina”. La sentenza d’appello, quindi, “non è capace di resistere” e la connessa motivazione è “priva di una visione sistematica dell’intero quadro istruttorio”. Per questo, concludono gli ermellini, deve essere fatto un nuovo processo di secondo grado. Una corsa contro il tempo visto che anche per il reato di accusa di tentata violenza sessuale scatterà la prescrizione il 20 agosto.