il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2021
Alitalia è vicina al collasso
La circostanza è casuale nella sua drammaticità, ma avrà il pregio di fare chiarezza sulla narrazione che accompagna il governo Draghi in tema di sussidi alle imprese. La prima sfida dell’ex Bce sarà infatti il disastro occupazionale della Alitalia, simbolo dell’inutilità degli aiuti a pioggia se servono ogni volta a garantire ruberie ed errori privati. La compagnia è molto vicina al tracollo definitivo. L’amministrazione straordinaria – che dura da aprile 2017 (governo Gentiloni, ministro Carlo Calenda) – potrebbe non essere in grado di pagare gli stipendi a fine mese. Servono 20 milioni subito, nonostante 7 mila dipendenti su 10 mila siano in Cassa integrazione – e altri 50 a breve per far fronte alle spese indifferibili. Anche così, però, non ne avrà per molto.
Giovedì il commissario Giuseppe Leogrande ha scritto una lettera allarmata ai dipendenti: “La difficoltà estrema che stiamo affrontando – vi si legge – è sostanzialmente riconducibile al minore indennizzo sinora autorizzato (272 milioni di euro anziché i 350 previsti dal citato decreto) e ai tempi che si sono rivelati necessari per l’avvio degli adempimenti cui Ita è tenuta per legge, tuttora in corso”. Leogrande non dice se pagherà gli stipendi, ma se la prende con il governo e i vertici della nuova compagnia (“Ita”) che dovrebbe nascere dalle ceneri di quella vecchia.
La situazione è drammatica. A fine 2019 il governo ha fornito al commissario 400 milioni come ulteriore prestito-ponte (dopo i 900 messi da Calenda nel 2017) per tenere Alitalia in piedi e venderla via gara. Il Covid e il tracollo del settore hanno archiviato lo scenario. A maggio il governo ha deciso che Alitalia sarebbe risorta con una nuova società, Ita, a cui ha destinato 3 miliardi di euro. Subito però ha messo a bilancio altri 350 milioni per ristorare la compagnia dai mancati ricavi dovuti alla pandemia. L’Antitrust Ue, guidato da Margrethe Vestager, ne ha però autorizzati solo 270 milioni, mancano le tranche di novembre e dicembre, 77 milioni appunto (notificati questa settimana). Ieri da Bruxelles è stato fatto filtrare che l’Antitrust potrebbe autorizzarne solo una minima parte (20 milioni) perché ha deciso di valutare rotta per rotta i ricavi storici per vedere se davvero le perdite sono legate al calo di traffico attuale. Non solo. Contrarietà sarebbe stata espressa anche verso gli ulteriori 200 milioni che il governo si apprestava a dare a Leogrande per poter gestire la nuova gara.
I ministri Stefano Patuanelli (Sviluppo) e Paola De Micheli (Trasporti) speravano infatti di poter chiudere la partita semplicemente trasferendo gli asset necessari dalla vecchia alla nuova compagnia controllata dal Tesoro. Vestager ha bloccato il tentativo chiedendo una “vera discontinuità”, cioè una gara aperta a tutti e per singoli comparti (aviation, manutenzione, servizi di terra). Il Mise sembra essersi arreso, ma una nuova gara richiede 4-5 mesi e Alitalia brucia 50 milioni al mese. Per questo servivano i 200 milioni, ma non sembra aria. L’Antitrust ha aperto un’indagine sugli aiuti stanziati finora, circa 1,3 miliardi. Alitalia non è stata ristrutturata né ceduta e non ha restituito nemmeno i 150 milioni di interessi maturati dallo Stato sui prestiti. Se Bruxelles mantiene questa linea, Leogrande metterà gli aerei a terra.
L’alternativa è che trasferisca tutti gli asset al Tesoro per ripagarlo dei debiti e il ministero li girerebbe poi a Ita. Una linea finora esclusa dal ministero dello Sviluppo, ma formalizzata in un emendamento al decreto Milleproroghe alla Camera a firma Stefano Fassina (LeU). La fretta con cui il governo ha messo in piedi la newco è oggi quasi un problema, visto che la crisi del settore rende anti-economico partire adesso. I vertici di Ita hanno provato a guadagnare tempo, il piano industriale, fumoso, è stato ritardato. Ma ormai di tempo non sembra essercene più. La palla passa a Draghi.