ItaliaOggi, 13 febbraio 2021
Una lettera per difendere l’informazione
Caro Professore, Signor Presidente,coloro che vorrebbero tirarLa per la giacca sono numerosissimi e per fortuna del Paese frustrati dalla Sua indifferenza. Quindi, questa lettera aperta non aspira a chiederLe niente, perché l’argomento è la democrazia che fa parte del Suo Dna. È tuttavia una lettera i cui contenuti avrebbero anche potuto far parte di una consultazione con chi rappresenta coloro che difendono la democrazia con una informazione professionale, di qualità. Sicuramente le troppe voci da sentire non hanno permesso di consultare anche la Federazione italiana dei giornali, che appunto possono scrivere ogni giorno e ormai durante tutto il giorno che cosa sta avvenendo per la democrazia di fronte allo sconvolgimento del mercato di riferimento dell’informazione. Ma proprio mentre Lei incassava, mercoledì 10, due fondamentali approvazioni, quali quella con cui Beppe Grillo l’ha definita, rivolto ai suoi, «Draghi, uno di noi» (!!!) e il relativo plauso per l’ovvio inserimento nello schema di governo il ministero per la Transizione verde (ovvio, lo sa bene, perché ineluttabilmente previsto dal Recovery plan), a Bruxelles il Parlamento europeo ha proclamato: «I colossi web paghino le notizie». In realtà, lo stesso parlamento aveva già approvato nel dicembre del 2019 una direttiva perché i vari Ott rispettassero il copyright, appunto pagando il diritto di uso dell’informazione.
Solo la Francia ha finora reso legge quella direttiva. Ma con una abilità sfrontata che deriva dall’enorme potere di controllare il 94% del mercato del search e ben altro (sistema Android, GMail, Youtube), Google prima ha fatto un accordo con i tre maggiori quotidiani e settimanali francesi e poi ha firmato un accordo con l’Alliance de la presse d’information, che comprende 300 testate giornalistiche cartacee e digitali. Prezzo della disponibilità per il search delle notizie di tutto il sistema dell’informazione francese: 20 milioni di euro all’anno. Il fatturato pubblicitario che Google realizza in Francia grazie agli utenti che usano il suo motore di ricerca per essere informati: quasi 1,5 miliardi.
Complessivamente nel mondo occidentale gli Ott raccolgono oggi quasi 300 miliardi di pubblicità. Nella sua infinita generosità Google, in coerenza con quanto è disposto a pagare in Francia, vorrebbe pagare 330 milioni di dollari all’anno, per tre anni, per tutto il mondo occidentale. E le case editrici francesi, facendo da cavia, hanno accettato l’elemosina.
Per fortuna, il governo dell’Australia ha affermato che se Google non pagherà un prezzo adeguato agli editori del Paese, Google non potrà operare sul territorio australiano.
Questa presa di posizione ha fatto sì che anche il Parlamento europeo si scuotesse e si orientasse a prevedere dei sostanziali emendamenti alla direttiva di fine 2019 osteggiata fortemente dai partiti populisti, che come i 5Stelle possono essere componente significativa del sostegno al Suo governo, Signor Presidente.
È vero che internet è la più grande rivoluzione tecnologica dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, ma la libertà che gli Usa, in primo luogo, hanno concesso agli Ott per poter diventare monopolisti, in contrasto con la democrazia economica statunitense basata sul pilastro della legge antitrust, è la più grande minaccia alla democrazia politica dei paesi del mondo occidentale.
È di due giorni fa la comunicazione di Twitter, gemello di Google, che anche se Donald Trump dovesse essere fra quattro anni rieletto presidente non potrà comunque avere un account sulla piattaforma. Dio sa se già il non ospitare più le dichiarazioni dell’ex-Presidente abbia spinto anche i suoi peggiori antagonisti a condannarne la decisione, pur condividendo tutto il mondo democratico che Trump scriveva cose folli. Ma l’esercizio della censura da parte degli Ott è inaccettabile, perché i cittadini, in democrazia, hanno il diritto di conoscere anche le più assurde dichiarazioni di colui che era stato, ahimè, democraticamente eletto.
Quindi, Lei, Signor Presidente, comprende che non c’è solo una questione di sottrazione illegittima di pubblicità a chi produce informazione professionale, di qualità e in alcuni casi indipendente e solo al servizio dei lettori-cittadini. C’è anche una profonda violazione dei valori della democrazia. Che certo è destinata a mutare, perché, come ha detto con acutezza il professore di fisica di Cambridge ed ora Presidente della Repubblica e della Nazione Armena, oggi un politico viene giudicato, attraverso i social, dopo due secondi, non alla fine del suo mandato, e quindi reagisce. Reagisce spessissimo con toni populisti, anche se populista non lo è. Si crea un circolo vizioso e per fortuna una voce amica ha fatto sapere che Lei, Signor Presidente, anche quando non lo era, non è mai stato presente sui social. Che di per sé non sono il diavolo, ma essendo strumenti per il puro profitto, sono gestiti in modo da diventare pericolosi per la democrazia, visto anche che grazie al loro potere hanno raggiunto una capitalizzazione in borsa di quasi 8 mila miliardi, quattro volte il pil dell’Italia.
Ma per fortuna anche la signora Ursula von der Leyen, stimolata dal ceo di Axel Spinger attraverso una lettera che conviene leggere per il quadro completo che ha fatto, ha prontamente risposto all’appello per cui sia l’Unione europea ad approvare leggi che, impedendo il passaggio dei dati degli utenti agli Ott, ristabilisca il diritto alla privacy, che è uno dei diritti fondamentali di una democrazia. La presidente von der Leyen ha concordato che la proprietà dei dati rimanga ai cittadini utenti.
Quindi, Lei, Caro Professore, potrebbe dire: ma se c’è già l’Europa che si è mossa, basta che l’Italia approvi. Mi permetta di dire che non basta.
Quest’anno si celebra Dante Alighieri a 700 anni dalla sua morte. Già 700 anni fa quindi l’Italia riuscì a esprimere l’autore di un’opera fondamentale anche per la civiltà di oggi. Con Lei al governo, l’Italia deve essere in prima linea per stimolare l’Europa a varare leggi adeguate, che poi vanno recepite rapidamente nella legislazione nazionale. E non La sorprenderà che la assolutamente insufficiente direttiva del dicembre 2019 in Italia non ha ancora varcato il passaggio nel primo ramo del Parlamento.
C’è poi un altro tema assolutamente fondamentale per ristabilire la democrazia fiscale: in attesa della Ue, occorre fare come la Francia, che ha già varato una tassa sui redditi web. I partiti che Lei, Signor Presidente, ha consultato nei giorni scorsi hanno tutti riferito che non ci sarà aggravio fiscale per i cittadini italiani. Ma nello stesso tempo il fisco italiano piange. Con il coraggio che l’ha contraddistinta nel rompere prima di tutti il tabù dell’acquisto da parte della Bce di titoli di Stato dei vari paesi europei, in quel fine luglio del 2012, mettendo in minoranza il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, faccia che l’Italia imponga la tassa sul web e quindi principalmente sugli Ott. Ma Le pare accettabile che in Italia, con i ricavi che fanno, Google, Facebook e compagnia se la cavino senza pagare che poche euro di tasse perché poi hanno la sede europea in Irlanda, cioè il paese a più bassa tassazione e addirittura, al sentore che la Ue imponga al parlamento irlandese di alzare le aliquote hanno già fatto sapere che se ne andranno in altri paradisi fiscali? Ma se producono reddito in Italia e negli altri paesi europei, e che reddito, devono pagare le imposte come tutti gli altri che in Italia e negli altri paesi producono reddito.
Non è certo tempo di entrare in conflitto con i paesi dell’Unione che equivalgono più o meno a paradisi fiscali, ma certo uno dei motivi per cui anche le persone più europeiste sono spesso critiche è proprio questa diseguaglianza fiscale. Lei ha salvato l’euro, che è forse la più significativa espressione dell’Europa unita. Ora ha ben altro da fare in Italia, ma certo se la sua voce si leverà a Bruxelles per una uniformità fiscale, il processo di unità continentale farà un grande passo avanti.
Lei oggi deve pensare all’Italia, ma ha l’autorevolezza, dopo quanto ha fatto a Francoforte, per spingere veramente verso una reale Europa unita.
Lo sa benissimo, ma uno dei pericoli maggiori che un governo e un popolo possono correre è quello di essere colpiti da notizie false, le fake news, che sono il primo nemico della democrazia. Non so se ha avuto modo di conoscere il professor Mario Rasetti, presidente della Fondazione Isi di Torino e guru assoluto del Big data. Il professor Rasetti potrebbe confermarle che dal 10 giugno 2020 le fake news hanno superato sulla rete le notizie vere. E in tema di vaccini le fake news sono il 67% di tutte le notizie che circolano in rete.
Chi può sconfiggere le fake news? In primo luogo chi fa informazione professionale e indipendente. Per questo, mi permetto, valuti di inserire nel programma non solo il tema della trasformazione verso la sostenibilità classicamente concepita; anche la possibilità di sconfiggere le fake news con notizie controllate e professionali, cioè di qualità, sono un’altra faccia della sostenibilità e dell’aria pulita che tutti ambiscono a rispettare.
C’è un settore che rientra nel suo programma: la giustizia che non funziona. Si rifletta su chi, approfittando delle confessioni di Luca Palamara, ha reso possibile conoscere il marcio della magistratura. Senza i giornali, o i siti dei giornali, non si sarebbero conosciute le camarille di magistrati troppo referenziali.
Idem per la burocrazia, che risulta Lei voglia seriamente riformare. Mi permetto di riportare cosa ha scritto nel suo recente libro, Aristocrazia 2.0, Roger Abravanel: «In Italia abbiamo una burocrazia che strangola lo sviluppo non per colpa dei troppi fannulloni ma della paralisi decisionale provocata da una sfiducia nello Stato e un timore della corruzione che non hanno eguali in Occidente e che hanno portato a un potere giudiziario totalmente autoreferenziale».
Chi può aiutare a compiere e ad attuare queste riforme? Forse i social? Forse le fake news che circolano nella rete? Nella sovrabbondanza dell’informazione, occorre salvare e valorizzare l’informazione di qualità, che può fare, se non esclusivamente ma certamente per prima, il cane da guardia dell’interesse dei cittadini, che è appunto un’informazione professionale indipendente.
Sarebbe bello Caro Professore, per tornare ai tempi della frequentazione, che Lei dedicasse almeno un passaggio del suo discorso alle camere, all’impegno di compiere quanto è possibile per difendere l’informazione professionale e indipendente, il cui valore, apparentemente non materiale, pesa sulla democrazia e peserà anche sul Suo governo almeno quanto la lotta all’inquinamento atmosferico. Se poi volesse dedicare un capitolo sempre alla difesa dell’informazione professionale e indipendente anche nel piano italiano per il Recovery fund, certo non sarebbe meno importante di altri capitoli e forse genererebbe una positiva reazione a catena per i piani di tutti gli altri paesi. In fin dei conti, per un’informazione professionale e indipendente, non sono pochi i giornalisti e gli editori che hanno dato o perso la vita.
Con il rispetto che si deve alla Sua persona e al Suo altissimo compito, voglia gradire, Signor Presidente, i migliori auguri di proficuo lavoro da tutti coloro che pensano che non ci possa essere democrazia sana senza informazione libera e indipendente. (riproduzione riservata)