la Repubblica, 12 febbraio 2021
QQAN20 Intervista a Fernando Aramburu
QQAN20
«I giornali continuano a essere un luogo dove si può fare letteratura e non solo informazione o commenti d’attualità. Non vedo perché la stampa debba adattarsi esclusivamente a una prosa funzionale, utilitaristica, povera nello stile». Lo scrittore basco Fernando Aramburu è erede di una lunga tradizione di intellettuali che associano il giornalismo d’opinione alla letteratura. Nel 2017 iniziò a pubblicare ogni domenica un articolo sul quotidiano spagnolo El Mundo. Continuò per 81 settimane fino a quando quell’attività iniziò a risultargli più faticosa che piacevole. Accortosi che era in agguato il pericolo della ripetizione scrisse l’ultima parola: fine. Una selezione dei suoi articoli è ora raccolta in un libro, Il rumore di quest’epoca, che esce in Italia per Guanda.
Gli interventi non sono pubblicati in ordine cronologico, ma raggruppati in sette blocchi tematici che attraversano la sua vita, dai ricordi dell’infanzia a San Sebastiàn alla sua esperienza di insegnante in Germania, dall’elogio della noia alla passione per il calcio, dall’amore per la poesia agli anni bui dei Paesi Baschi, quelli già raccontati in Patria, il romanzo con il quale sarà ricordato nella storia della letteratura. Un’autobiografia intellettuale, insomma, che lui definisce come un esercizio di libero pensiero: «Nessuno mi ha mai toccato una virgola, nessuno mi ha mai cancellato una parola. Avere ragione non è stato ciò che ha mosso con maggior forza la mia mano, che in fin dei conti è quella di un uomo fallibile che non si chiude di fronte al dubbio. Mi è importato di più esprimermi in totale libertà finché quel privilegio è concesso in Spagna. Vedremo per quanto tempo ancora».
Cosa minaccia la libertà oggi?
«Daqualchetempo hocattive vibrazioni riguardo alla tenuta della democrazia.Sentosemprepiùvoci chelamettonoindubbio.Vedo sempremenomodestiain coloroche affermanodi possedere la verità e hanno soluzioni per tutto,il che ovviamentepassa attraverso la concessione a loro del potere a vita.
Vedoanchel’egemonia dinazioniche prima opoi cercheranno di esportare il loro modello autoritario nel nostro continente. Da quila mia raccomandazionedi esprimere liberamenteciò che si desideraprima che sia troppo tardi. E se il mio presagio si rivelerà sbagliato, allora rideranno di meeandranno avanticonla festa».
Come se fosse un altro virus, si diffonde un nazionalismo antieuropeo. Cosa significa l’Europa per lei?
«L’Europadi ogginon èun paradiso terrestre,ma è uno spazio ragionevole perla civiltàe unacasa comuneper coloroche vogliono abitarladopo aver accettato i principi dello Stato di diritto.Chiunque scavicon una pala in uncampoeuropeotroverà leuniformi e gli elmetti dei soldati caduti nella Secondaguerramondiale.Se continua ascavare troverà le stesse cose, ma dei soldatidella Prima guerra mondiale. E delle guerre franco-prussiane. E delle invasioninapoleoniche. E delle guerre incessanti chehannoavuto luogonel nostro continente. Invece, residuati bellicidell’Unione Europeanon ne troverà».
Si può vivere senza patria? Chi perde le origini non perde l’identità?
«Non si può vivere senza gli altri. Il fatto che glialtri forminouna nazione, un Paesechiuso, misembra unariduzione antiquata.Vivo fuori dal mioPaese d’origine da trentasette anni. Mia moglieè tedesca. Ho amici francesi, danesi, italiani. Leggo autori qua e là.
Pago con la stessa valuta in Italia, Spagna oPortogallo. Lamia patria è lo spaziosenza confini degliuomini buoni».
In questo libro raccoglie alcune riflessioni sull’Eta e sulle sue vittime.
Perché pensa che la possibilità di un perdono sincero si stia facendo ogni giorno più remota?
«Chiedereperdono significa riconoscere l’errore e il male provocato da una causa difesa conla violenza.
L’Eta si è sciolta, ma il suo progetto continua.Diconseguenza non ci sarà maiuna richiestadi perdonosenon individualmente e a bassa voce. Quello che esisteè una cosa tiepida e un po’ ipocrita:il riconoscimento del danno causato.Edè proprio da questo riconoscimentochenasce lavera colpa, perché se riconosci di aver fatto undanno, cosadevi aspettareper ripararlo?».
Il perdono implica la riconciliazione?
«No.La riconciliazione presuppone legami affettivi rotti e poi ricostruiti, e questo, fuori dalla sfera familiare o dalla cerchia degli amici, è raro. Ciò che il perdono facilita è la convivenza, chenonèmale».
La sua vita è anche “una vita nei libri”, come la definisce nel “Rumore di quest’epoca”.
«I libri sono la colonna sonoradella mia vita. Volevo che fosse così fin dall’adolescenza.Ciò che mi hanno datoè paragonabilea ciò chemiha regalato laNatura. In entrambi ho trovato bellezza, serenità, conoscenza, dialogocon tutto ciò che mi circonda.
Inoltre sono grato ai libri per ciò che la Natura non puòdarmi: l’invito ad accettare criteri morali per essere in buoni rapporti coni miei simili e l’abitudine alla critica».
Sostiene che ci faremmo un pessimo favore intellettuale se limitassimo le nostre letture agli autori con i quali sappiamo in anticipo di essere in accordo.
«Nonleggo libri per fare un favore a chi li ha scritti. Li leggo a mio vantaggio e per miopiacere. Non sono indifferente auna partedel lavoro diPablo Neruda, unuomo cheadulavaStalin.Nonmi privodelleoperedi KnutHansum,di cui disapprovo l’adesione al nazismo.
Un libro consiste nella sua lettura, quindiin ciò chene fa lapersona che legge.E quello che io ho fattoleggendo i libri di questi autori e di altri le cui vite nonerano esemplarinonha nullaache fare con le loro azioni o con l’ideologia chehannoabbracciato».
Nell’ultimo articolo della raccolta, “Utilità delle disgrazie”, il giovane che è stato lo accusa di essere il traditore dei suoi sogni. Quali?
«Quelli tipici della giovinezza, del ragazzo sano, vigoroso, senza esperienza, senzalavoro e responsabilità familiari che vuole cambiareilmondo e migliorarlo senza pensare che i suoi genitorilo stanno vestendoe nutrendoechelui attraversa a tutta velocità strade che altri hanno asfaltato».