La Stampa, 12 febbraio 2021
Il Nepal mette al bando chi finge di aver scalato l’Everest
A volte anche le norme ci capovolgono. Un tempo erano gli alpinisti “clandestini”, cioè quelli che salivano sugli Ottomila senza il permesso governativo a subire il divieto di ingresso in Nepal per 5 anni, adesso quelli considerati “bugiardi” sono “indesiderati” per sei anni. Cacciati per aver raccontato di essere stati in cima all’Everest senza prove. L’onere della prova di vetta esiste da quando ci sono le spedizioni commerciali. Io non so come si faccia a provare di essere stato in vetta a una montagna se ci arrivi durante una bufera, per esempio, o se non ti funziona la macchina fotografica. In realtà da quando esiste il turismo d’alta quota, che io ho ribattezzato alpinismo di pista, ci sono racconti fasulli. Vorrei sapere chi può controllare. Sull’Everest, ormai da anni, salgono verso i campi, quindi verso la cima, file di cinquanta, addirittura cento persone. Una dietro l’altra. E non si conoscono neanche tra loro.
Non capisco come si possano dare premi per queste salite. Mi pare assurdo, ma siccome sono previsti, allora ci vogliono le prove, i testimoni. E adesso è arrivata perfino la condanna. Da quando c’è questo turismo di alta quota, molte persone che non sono alpinisti pagano per poter arrivare sul “tetto del mondo”, o comunque su un Ottomila. Poi tornano a casa, vantano l’impresa, qualcuno anche da eroe. Tutto è legittimo, anche queste specie di gite sociali sull’Everest, ci mancherebbe, ma devo dire che non mi interessano, né tanto meno mi interessa controllare, verificare se una salita sia stata fatta, oppure no. Mi occupo di alpinismo di punta, come storico dell’alpinismo, beninteso. E posso dire che tutto ciò non ne fa parte. Gli alpinisti di punta sono impegnati in spedizioni leggere e su pareti molto difficili dal punto di vista tecnico e non sugli Ottomila, ormai meta di troppe persone.
L’interesse è pari a zero per le scalate sugli Ottomila lungo le vie normali. Il grande alpinista cerca l’esposizione, intesa sia come complessità di salita sia come solitudine. È fuori dalla massa e ritorna con un exploit affrontando l’ignoto, dunque il pericolo. E le prove le ha. Ciò non vuol dire che bugie nell’alpinismo non siano state dette anche ad alti livelli, ma è altra cosa. Dopo la prima invernale sul K2 da parte di dieci nepalesi guidati dal Gourka Nirmal Purjia possiamo dire che sono più bravi di noi occidentali. Purjia ha dimostrato organizzazione e forza fisica. In meno di sette mesi è salito su tutti gli Ottomila e ora è arrivato d’inverno in cima al K2. E lo ha fatto in velocità. Questo è un grande tema: dopo un secolo di servizio agli alpinisti (la prima spedizione all’Everest è del 1921) i nepalesi sono passati dal fare cucina e il tè delle 5 per gli inglesi a raggiungere in velocità gli Ottomila. E ora guidano i turisti d’alta quota. Gli alpinisti di punta vanno su altre montagne ad affrontare difficoltà e solitudine. —