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 2021  febbraio 12 Venerdì calendario

I 168 incontri di Conte per il Recovery

La narrazione sul Recovery plan accentrato da Giuseppe Conte, e caduto per questo, è un mantra ripetuto da Matteo Renzi per giustificare la crisi di governo. La narrazione trova diversi aedi pronti a supportarla anche sui quotidiani, e ha l’obiettivo di trasformare il più grande successo del governo Conte, il Recovery – che segnerà la vita italiana nei prossimi anni – in suo fallimento.
Sulla base di un lungo giro di colloqui con le varie fonti governative interessate dal racconto, abbiamo verificato come questo sia parziale e abilmente orientato. Alcuni si dicono anche convinti che sia pilotato dalle stanze del Mef abitate dagli uffici della Ragioneria di Stato (in ballo c’è del resto la formazione del nuovo governo e in questo momento sono in tanti ad accreditarsi).
Le tre teste. I fatti, comprovati da più fonti, dicono cose diverse. Innanzitutto che non c’è nessun “uomo più potente d’Italia”, come è stato definito Riccardo Cristadoro, curriculum prestigioso in Banca d’Italia e consulente a Palazzo Chigi. Chi lavora al suo fianco ne tratteggia il profilo del classico civil servant, persona di rigore e correttezza cui Conte ha affidato il dossier Recovery. Ma non in solitudine. Già a luglio, infatti, Cristodaro lavora insieme al capo di Gabinetto del ministero degli Affari europei, di Enzo Amendola, il dottor Fabrizio Lucentini. Adottano come base il documento redatto da Vittorio Colao, le risultanze degli Stati generali (da tutti ritenuti inutili, ma che in parte si riflettono sulle bozze) e soprattutto vagliano i circa 600-800 progetti che provengono dai vari ministeri e dagli enti locali. Un lavoro di “scrematura” che si allarga anche al ministero dell’Economia e Finanze che invia agli incontri il responsabile della segreteria tecnica, Federico Giammusso.
Se una difficoltà si è prodotta in questa prima fase è la quantità di riunioni fatte a “largo Chigi e non a Palazzo Chigi”, cioè nella sede del ministero di Amendola. Il governo lavora con molta riservatezza (“non segretezza”), i file non vengono fatti girare e questo ha creato l’ipotesi del gruppo isolato che in realtà ha tenuto i fili con tutti gli altri ministeri.
Alcuni numeri lo confermano. Tra agosto e dicembre, infatti, si tengono 19 riunioni del Comitato tecnico di valutazione agli Affari europei, 44 bilaterali con singoli ministeri, 35 riunioni su singole componenti o missioni con due o più ministeri, 70 incontri del Gruppo di lavoro del Ctv per il Piano di Ripresa e Resilienza come ormai si chiama il Recovery Plan. In tutto 168 riunioni, tenute in diversi posti o più banalmente in videoconferenza. Se qualche forza politica o qualche ministero non si è messo al corrente di quello che stava accadendo dovrebbe farsi un più diretto esame di coscienza.
Quanto a Cristadoro, si assicura da Palazzo Chigi, più che accentratore il suo è stato un ruolo di interlocuzione costante con i singoli ministri e il suo lavoro si è poi riversato nel Ciae, il Comitato interministeriale degli Affari europei, sempre presso il dicastero di Amendola, che ha fatto da coordinamento. Riassumendo, quindi, il Recovery vede una triade che lo governa già da subito, un comitato di coordinamento molto ampio, un numero considerevole di riunioni di collegamento.
Solo pretesti.Tutto questo lavoro è sufficiente a sconfessare il racconto del Recovery consegnato “alle 2 di notte ai ministri” come hanno sempre sostenuto i rappresentanti di Italia Viva riferendosi a una bozza, quella del 6 dicembre, frutto di un lavoro durato mesi.
Il Consiglio dei ministri del 7 dicembre – sospeso poi per la positività al Covid, poi rivelatasi fasulla, della ministra Luciana Lamorgese – aveva all’ordine del giorno la “Definizione e attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” e non la sua approvazione. In quella sede si sarebbe dato avvio alla discussione e ci sarebbe stato il tempo di fare le dovute variazioni. Del resto, il 15 ottobre, il Parlamento aveva già approvato le Linee guida del Piano con il voto favorevole di Italia Viva. Agli inizi di dicembre scatta invece l’offensiva dei renziani che, ne sono convinti nelle diverse stanze di governo, hanno voluto agitare “il pretesto” dei contenuti per contestare la governance del piano affidata, va ricordato, alla triade Palazzo Chigi, Mef, Mise con il contributo degli Affari europei. Nessun renziano dentro lo schema, da qui la rottura.
Se una centralizzazione c’è stata, invece, è avvenuta nel mese di dicembre quando il Mef ha accentrato nella sua poderosa struttura, la riscrittura del piano. Che però, al di là di alcune soluzioni stilistiche, si basa sostanzialmente solo nella dilatazione delle risorse grazie alla scelta del ministro Roberto Gualtieri, in sintonia con il ministro del Mezzogiorno Giuseppe Provenzano, di spostare una parte dei Fondi di coesione sociale europei per creare un piano più ampio e dare così risposta alle richieste di Italia Viva, in particolare su Turismo, Cultura e Sanità.
Sono queste voci a lievitare più di altre nell’intento di prendere sul serio le lamentele renziane. Ma anche al Mef si accorgeranno presto che i contenuti del Recovery non c’entrano nulla con la crisi. All’incontro convocato il 30 dicembre 2020 da Gualtieri, per vagliare il piano punto per punto, si presentano di persona (gli altri partiti sono in videoconferenza) Maria Elena Boschi, Teresa Bellanova e Davide Faraone. I vari capitoli, già passati al vaglio del direttore generale Alessandro Rivera e del Ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, vengono discussi “positivamente”. I presenti all’incontro percepiscono un clima “costruttivo”, ma venti minuti dopo la sua conclusione le agenzie battono la dichiarazione di Italia Viva: “Sui contenuti ci separa un abisso”. La crisi è stata già decisa, il Recovery non c’entra.
Bocciature presunte. L’ultima narrazione riguarda la presunta bocciatura europea e il ritardo di presentazione del Piano. Eppure la data limite per consegnare il documento a Bruxelles è il 30 aprile e come è stato più volte assicurato al Mef e agli Affari europei, nessuna bocciatura è stata mai contestata all’Italia, nonostante gli inviti a migliorare, ma senza mai ricevere “feedback disastrosi”. Anche la tanto contestata task force è scomparsa subito dal tavolo e la discussione si è fermata all’ipotesi di un coordinamento affidato ai tre ministeri con circa 50 responsabili di progetto e un coordinamento tra i ministeri.
È assai probabile che il nuovo governo Draghi non si discosti da questo schema e che il documento non verrà stravolto. Anche perché nel frattempo è passato al vaglio del Parlamento che ha già avviato le audizioni. Sarebbe curioso che, nell’ansia di far presto, si dovesse ricominciare tutto da capo.