La Gazzetta dello Sport, 11 febbraio 2021
Storia dell’odio tra Andrea Agnelli e Antonio Conte
Per capire davvero, bisogna conoscerli. E riavvolgere il nastro cercando le cause del deterioramento di un rapporto che era molto forte. Andrea Agnelli e Antonio Conte, fin da quando il primo tifava e il secondo giocava, si stimavano e soprattutto si riconoscevano: affamati di vittorie, determinati, leader, profondamente juventini. Stessa razza. Anche per questo motivo nel 2011 il presidente scelse Conte come allenatore della rinascita, imponendosi su Marotta e Paratici che avrebbero preferito altre soluzioni. Il giorno dell’incoronazione, il 31 maggio 2011, Agnelli usò parole profetiche: «Conte è il primo tassello di un mosaico che ci riporterà alla vittoria». Fu proprio così. Solo che poi il mosaico si è progressivamente sgretolato, il rapporto si è sfilacciato: Andrea e Antonio non si sono riconosciuti più.
I motivi
Le divergenze sul mercato hanno avuto un peso, ma inferiore a quanto si pensi. La famosa battuta di Conte («Con 10 euro non si mangia in un ristorante da 100 euro»), riferita alle difficoltà della Juve in Champions, indispettì Agnelli non tanto per il riferimento al bilancio (peraltro in costante crescita all’epoca), ma perché sembrava la spia di un malessere più profondo: come se Conte non credesse alla competitività del progetto. Infatti nel 2017 Agnelli ringraziò Allegri «per la sua capacità di portare avanti un lavoro che per altri sembrava terminato». Conte rispose sui social: «Nella vita non si finisce mai di conoscere le persone... A volte basterebbe soltanto un minimo di riconoscenza. E di maturità». Riconoscenza: parola chiave. A dividere davvero Andrea e Antonio fu proprio la differente percezione del lavoro comune. Secondo il presidente, Conte avrebbe dovuto essere grato alla Juve che l’aveva preso dal Siena e che gli aveva consentito di fare il salto di qualità affermandosi in un grande club. Questo è un modo di pensare tipicamente bianconero: a vincere è sempre e solo la Juve, intesa come società e come insieme delle varie componenti tecniche. E la scelta di Pirlo, allenatore alla prima esperienza, è la riprova di una mentalità gestionale in base alla quale è il club a rendere più forti le individualità che lo compongono e non viceversa. Secondo Conte, invece, Agnelli avrebbe dovuto prendere coscienza che senza di lui non sarebbe stato possibile aprire la leggendaria serie di scudetti consecutivi. Un’insanabile differenza di vedute. Conte avrebbe voluto incidere sul mercato, ma non gli fu consentito perché alla Juve non funziona così. Antonio aveva (e ha tuttora, all’Inter) l’abitudine di sottolineare, magari eccessivamente, quello che non gli piaceva: l’obiettivo era alzare l’asticella, ma Agnelli cominciò a essere stufo di certe lamentele. E si arrivò alla rottura.
Dispetti
Prima dell’addio, celebrato il secondo giorno di ritiro nel luglio 2014, ci fu un reciproco dispetto: la Juve “costrinse” il tecnico a restare anche per non correre il rischio di vederlo immediatamente su una panchina rivale, mentre Conte rimandò la decisione un po’ troppo a lungo. Le avventure in Nazionale e al Chelsea non sono bastate per congelare le incomprensioni e tenere vivi solo i numerosi ricordi piacevoli. Poi Antonio è andato all’Inter. Lui stesso, nel 2013, aveva dichiarato che se fosse finito al club nerazzurro ne sarebbe diventato il primo tifoso, essendo un professionista. Ma l’Inter, per Agnelli, non è una squadra come le altre. E le modalità dell’addio sono per il presidente una ferita che sanguina ancora. Così fallì il clamoroso tentativo di Nedved e Paratici di riproporre Conte (che aveva tenuto in stand-by l’Inter) sulla panchina bianconera. Il presidente fu irremovibile: finché al vertice ci sarà lui, Antonio non allenerà più la Juve. E allora riaffiora oggi la prima frase pronunciata da Conte il 31 maggio 2011: «Sono tornato a casa». Adesso, in quella casa, a ricordare il suo passaggio da giocatore e da tecnico sono rimasti i trofei e una stella nella “walk of fame” dello Stadium, che qualche tifoso poco illuminato vorrebbe rimuovere. Dimenticando 419 partite, 44 gol, 5 scudetti e una ricca collezione di coppe più i tre tricolori vinti in panchina. Siamo sicuri che Agnelli non sarà d’accordo: non si può cancellare la storia. Che in questo caso è infinitamente meglio della cronaca.