La Stampa, 11 febbraio 2021
I gestori del Nuvolau, il più antico rifugio delle Dolomiti, vanno in pensione
Lei era bibliotecaria in Canada e lui maestro di sci a Cortina. Il destino li ha fatti incontrare e l’amore per la montagna non li ha più separati.
Insieme hanno gestito per 47 stagioni a 2575 metri il Nuvolau, il più antico rifugio delle Dolomiti, costruito nel 1883 e ora di proprietà del Cai, il Centro alpino italiano. «È stato un dono poter vivere così la montagna ma l’aumento sfrenato del turismo richiede dei ritmi molto intensi, non abbiamo rimpianti, rischiavano di trasformare la nostra passione per la natura in un’attività esclusivamente alberghiera e alla nostra età era arrivato anche il momento di lasciare», raccontano i coniugi Mansueto Siorpaes e Joanne Jorowski di 77 e 74 anni. Il 15 febbraio scade il bando per la nuova gestione a cui hanno partecipato in centinaia da tutto il mondo.
Come vi siete conosciuti?
Joanne. «Era il 1972 e lavoravo come bibliotecaria a Vancouver per mettermi da parte dei soldi e visitare l’Europa in autostop. La mia famiglia aveva una baita a Whistler dove conobbi Mansueto, arrivato lì come maestro di sci per migliorare l’inglese. Entrambi avevamo la stessa passione per la montagna, ma dopo qualche mese lui dovette tornare in Italia. Ci saremmo rivisti in Europa e così fu. Dopo qualche mese arrivai a Cortina da Mansueto. Realizzai che mi ci sarebbe voluto molto più tempo per scoprire le stupende Dolomiti che nessuno conosceva meglio di lui. Lavoravo nella discoteca Belvedere per poter sciare di giorno e passai l’inverno a Cortina».
Mansueto. «Fin da ragazzo corteggiavo il Nuvolau e quando nella primavera del 1973 arrivò la notizia che mi avevano scelto, chiesi a Joanne di darmi una mano nella gestione del Rifugio con 24 camere. Lei voleva andare in Spagna, ma le dissi che era troppo caldo d’estate lì. Rimase e alla fine ci sposammo il 27 ottobre 1973».
Com’era il Rifugio in quegli anni?
J. «Non c’erano né luce elettrica né acqua corrente, messe dal Cai nel 2015, ma solo la teleferica.
Usavamo le candele di notte, mentre con l’acqua piovana lavavamo le lenzuola. Se ci ripenso! C’erano turisti soprattutto tedeschi, ma non tante persone come oggi quando devo dire di no a oltre 50 richieste al giorno. Gli dissi che sarei rimasta solo a patto che prendesse un generatore e una lavatrice! E lui acconsentì. L’anno dopo nacque il primo figlio, David, ora ingegnere a Milano, nel 1976 Kevin, maestro di sci, e nel 1985 Wendy, in questi giorni portabandiera ai Mondiali 2021».
Com’è la natura a 2575 metri?
J. «Siamo stati circondati da una tale bellezza! È l’unico rifugio che ha un paesaggio a 360 gradi.
Vedere la Via Lattea, essere illuminati dalla luce delle stelle, avvolti dai raggi del tramonto e ammirare le meravigliose albe sono esperienze uniche. Il nome “Nuvolau” è azzeccato perché le nuvole cambiano di continuo forma e colore. È un incanto infinito. Per i nostri 25 anni di matrimonio Mansueto mi ha costruito una seggiolina di legno per vedere l’alba che nascondevo in cucina e tiravo fuori ogni mattina».
M. «Per me vivere il rifugio è contemplazione. È un’esperienza intima, personale e spirituale.
Passavo il tempo con il binocolo guardando camosci, caprioli, aquile e marmotte. Quando calava il silenzio iniziavo a contemplare, fino a quando è stato possibile».
Che cos’è successo?
J. e M. «Il turismo è aumentato a dismisura. Ci sono sempre dei viaggiatori che amano la montagna, ma molti si lamentano perché non ci sono comfort, vengono solo per farsi i selfie o fanno rumore già all’alba. Ormai chi gestisce un rifugio è sempre più schiacciato dalle responsabilità burocratiche. Speriamo che il “Nuvolau” non cambi natura. È un rifugio nel senso più profondo del termine dove bisogna apprezzare, rispettare e ascoltare la montagna».
Avete mai avuto incidenti?
J. «Eh sì. Dopo una decina di anni un fulmine colpì Mansueto mentre era al telefono. Per fortuna si riprese e venne ampliata la cosiddetta gabbia di Faraday. Poi nel maggio 1992 un altro fulmine colpì la teleferica distruggendola. Il rifugio fu risparmiato perché c’era ancora la neve e il vento soffiava da un’altra parte. Quella volta chiedemmo una mano all’elicotterista Mark Wolfe che stava lavorando per il film Cliffhanger con Sylvester Stallone.
Ci aiutò a trasportare il materiale e diventammo amici. Un’altra volta, incinta di Wendy, stetti male e Mansueto mi dovette caricare sulla teleferica con l’angoscia che si potesse rompere: abbiamo avuto tante avventure ma tutte andate a finire bene».