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 2021  febbraio 10 Mercoledì calendario

Lo schema Draghi per arrivare al Quirinale

Lunedì sera, nello studio di Tg2 post, incontri un Pierferdinando Casini che si sente sollevato, come se si fosse tolto un chiodo fisso dalla mente. «Ormai che debbo fare?! sospira Draghi ci ha fregati tutti: è chiaro che punta al Quirinale. A me non resta che andare in vacanza». Il tutti si riferisce ai tanti concorrenti del principale Gran Prix che ogni sette anni si corre nel Palazzo e Casini, che si è iscritto alla gara da tempo, sa benissimo che Mario Draghi ora più che mai è il favorito. «Pierferdinando lo consola Matteo Renzi fa il triste, lo scaramantico, ma si vedrà». Sarà ma Draghi, da sempre il favorito nelle quotazioni dei bookmakers, ora è entrato in pista. Forse l’unico modo che c’era per impedirgli di vincere era tenerlo fuori dall’autodromo. Un unico handicap aveva, infatti, la candidatura al Quirinale dell’ex numero uno della Bce, un handicap che fra qualche giorno verrà superato: tutti i presidenti della Repubblica, da De Nicola ad oggi, per salire al Colle hanno dovuto contaminarsi in un modo o nell’altro con la politica. Hanno cioè ha avuto un’esperienza in Parlamento o nel governo. Tutti nessuno escluso. Anche Carlo Azeglio Ciampi, modello a cui Draghi si ispira, come lui con il pedigree di ex governatore di Bankitalia, per arrivare al Quirinale è passato per il governo: è stato premier, poi due volte ministro del Tesoro e da lì è salito direttamente sul Colle. L’ex presidente della Bce partirà addirittura da un trampolino più alto del ministero di via venti Settembre, da Palazzo Chigi.
Ecco, per capire il governo che sta mettendo insieme il presidente incaricato bisogna tenere a mente che per lui il Quirinale è come l’ultimo touchdown per Tom Brady. Nella sua testa ci sono un governo di salvezza nazionale da mettere in piedi per mettere in sicurezza il Paese, un programma per ammodernarlo, un esecutivo che sia all’altezza e faccia dimenticare per competenza le parodie che erano i gabinetti precedenti. Ma la conclusione naturale di questo percorso un ossequio a Cartesio di un cultore della matematica come Draghi – sarà l’approdo al Quirinale tra un anno, o qualcosa di più (ma l’ipotesi al momento è assolutamente da escludere) se Mattarella accetterà una rielezione. Questo per dire che l’equazione di chi teorizzava che l’ex governatore non sarebbe andato a Palazzo Chigi perché puntava al Quirinale era del tutto errata. Semmai è vero il contrario. «Certo che punta al Quirinale!», commenta Guido Crosetto, con la libertà di chi, come seguace della Meloni, interpreta il ruolo dell’unica opposizione: «Chi metterà al Mef? Un uomo di fiducia a cui gli basterà telefonare».
Appunto, l’ingrediente principale della formula Draghi è la fiducia. Il premier incaricato deve costruirsi un maggioranza in Parlamento oggi per il governo, domani per il Quirinale. Così in questi due giorni ha detto alle delegazioni di governo quello che volevano sentirsi dire. Al Pd che ci sarà un impulso all’integrazione europea con una cessione di sovranità. A Salvini che non ci sarà l’aumento delle tasse. Con i grillini addirittura si è superato. I cinquestelle che lo hanno incontrato, a sentir loro, hanno ascoltato dalla sua viva voce questo discorso: «So quello che si dice su di me sulle privatizzazioni. Ma ora siamo in un altro contesto. Riproporre la stessa agenda adesso sarebbe un errore. Io poi oggi sono in pensione e vedo il mondo da un altro punto di vista». Più che il «distacco» di un premier, sembra quello di un capo dello Stato, che vola alto. Tanto alto che negli incontri non ha parlato per nulla di nomi. «Non gli tiri fuori un nome confida ammirato lo stesso Renzi neppure sotto tortura». L’unica traccia il premier incaricato l’ha data a quelli di Leu: «Nei posti chiave voglio persone competenti, che poi siano tecnici o politici non mi interessa».
E, sicuramente, nella formula Draghi il nome del prossimo ministro dell’Economia sarà centrale: sarà non solo l’uomo di fiducia del nuovo premier, ma anche il suo probabile successore per portare avanti un programma di governo così vasto, se tra un anno l’ex governatore salirà al Quirinale. Ovviamente, l’identikit ha una condizione inderogabile: un passato in Bankitalia. Vengono da lì sia il gettonato ex ragioniere dello Stato, Daniele Franco, sia il pupillo Fabio Panetta, ora nel comitato esecutivo della Bce. Draghi pensa a uno di loro per l’oggi e per il domani. A un politico che andò a trovarlo nella magione vicino a Città delle Pieve, nell’autunno del 2019, uno dei tanti, come ho raccontato su questo giornale, che andò a pregarlo di mettere in piedi un governo, disse: «Ormai sulla scena politica è arrivata una generazione di giovani, di quarantenni, e io ho 72 anni. Ci sono grandi istituzioni in cui si possono trovare personalità all’altezza. Bankitalia ad esempio. E Fabio Panetta che da Bankitalia è arrivato in Bce, potrebbe esser un buon premier».
Insomma, il governo probabilmente sarà un mix di politici e tecnici per un premier «tecnico» ma più politico di tanti politici: per Draghi portare per mano il Parlamento – oggi per il governo, domani per arrivare al Quirinale – è essenziale. Tant’è che a sentire i vertici dei vari partiti l’interessato non parla – già ci sarebbe una sorta di modello ispirato al peso di ogni forza politica: 3 ministri andrebbero ai grillini, 2 al Pd, 2 a Forza Italia, 2 alla Lega, 1 a Italia Viva, 1 a Leu, 1 a più Europa, il resto tecnici. Discorsi per aria che, comunque, fanno moltiplicare le congetture. «Zingaretti vuole entrare confida Renzi che in questa crisi ha dimostrato quanto sia esperto nelle alchimie politiche ma se entra lui come potranno dire di no a Salvini. Così alla fine i due posti del Pd, se saranno due, vedranno in lizza Zingaretti e Orlando tra i ds, mentre Franceschini e Guerini per gli ex margherita. Bella partita. Per me sarà più semplice. Se poi il Pd si appiattirà sull’alleanza con i grillini, per me si aprirà uno spazio al centro da arare, un’autostrada da percorrere». 
E già, nel prossimo anno, con un premier del genere i leader dovranno più pensare alla politica che al governo, perché sotto l’ombrello Draghi lo scenario politico sarà scompaginato. Polemiche e calcoli che hanno portato al nuovo esecutivo lo dimostrano. Stefano Bonaccini ha dovuto quasi prendere i suoi compagni di partito per la collottola. «Vi faccio l’elenco gli ha gridato di tutti gli imprenditori emiliani che mi hanno telefonato per chiedermi se abbiamo perso la testa quando pensiamo di boicottare Draghi! Vogliamo regalarli tutti alla Lega». E malgrado questo si è sentito rispondere da Andrea Orlando: «Intanto i congressi si vincono al sud». Cose che capitano. «Grazie a Renzi ha ammesso, invece, Giancarlo Giorgetti, che sogna una Lega più legittimata in Europa è successo in tre giorni quello che io pensavo di fare in tre anni». Più o meno la stessa cosa sta avvenendo sul versante populista, dove i 5stelle stanno portando a termine la loro metamorfosi: solo 8 senatori e 5 deputati diranno no a Draghi. E la consultazione sulla piattaforma di Casaleggio? «A me di Rousseau sbotta il grillino Giorgio Lovecchio non me ne frega un caz Se vogliono un’opposizione la farà il Dibba».