la Repubblica, 10 febbraio 2021
Lagioia spiega perché rinuncia allo Strega
Nicola Lagioia ha scelto di fare un passo indietro, non parteciperà allo Strega. La città dei vivi, pubblicato da Einaudi ad ottobre, si sfila e insieme a lui svapora quel po’ di adrenalina che avrebbe vivacizzato una competizione forse meno vulcanica del solito. E invece lo scrittore si sottrae e gli altri in gara possono tirare un respiro di sollievo, perché Lagioia era un peso massimo e rischiava di sparigliare un’edizione che si annuncia come lo Strega delle donne. E mentre aspettiamo che vengano ufficializzati i nomi delle principali duellanti che da mesi rimbalzano di bocca in bocca, Teresa Ciabatti ( Sembrava bellezza, Mondadori) e Donatella Di Pietrantonio ( Borgo sud, Einaudi), è entrato in gara Emanuele Trevi ( Due vite, Neri Pozza), autore che tiene alta l’asticella e piace alla Fondazione Bellonci che organizza il premio e a suo modo lo guida.
Una cosa è certa, sarà ricordato come lo Strega del Gran Rifiuto di Lagioia, che è anche direttore del Salone del Libro di Torino, uomo di potere al quale è richiesta diplomazia per stare a suo agio nel groviglio della società letteraria. Ma l’ultima voce è dell’autore e Lagioia spiega a Repubblica che il suo “no” non ha a che fare con alcuna pressione esterna ma semmai è frutto di una lotta interiore. E mentre lo dice crescono i like del “post della rinuncia” sulla sua pagina Facebook, arrivati a oltre duemila, tra centinaia di commenti affettuosi, tra cui quello del direttore della Fondazione Stefano Petrocchi, che dopo il bis di Sandro Veronesi rischiava di dover incoronare di nuovo una ex gloria.
Il suo è un gesto distensivo per non crearsi inimicizie dentro il mondo culturale al quale appartiene?
«Le assicuro che le mie sono state solo valutazioni personali, ho fatto principalmente i conti con me stesso. Ha fatto bene Veronesi a ricandidarsi, ma nel mio caso partecipare con il libro successivo a La ferocia poteva sembrare un gesto arrogante. Non è detto che uno deve sempre saltare il cerchio di fuoco».
Secondo il regolamento devono passare tre anni tra una vittoria e l’altra. “La ferocia” ha vinto nel 2015 quindi avrebbe potuto ripresentarsi.
«Non nego che sia stata una decisione sofferta, sono umano.
Avrei avuto è indubbio un vantaggio nelle vendite, ma il libro sta andando bene, Sky ha opzionato i diritti per una serie e entro il 2022 sarà tradotto in tutto il mondo. Un eccesso di protagonismo non è consono a come mi sento in questo momento».
Hilary Mantel ha vinto il Booker Prize con due romanzi consecutivi, nessuno le ha mai dato dell’arrogante.
«Il regolamento dello Strega è diverso, prevede che l’autore accetti la candidatura, che faccia un passo avanti. Mi sembrava eccessivo, avevo il sospetto di peccare di hybris».
Non ha avuto pressioni dal suo editore? Il nome di Donatella Di Pietrantonio come candidata Einaudi circolava da tempo e il suo ingresso avrebbe portato scompiglio in famiglia.
«Solo ieri ho ricevuto un WhatsApp dall’editore in cui si complimentava per il mio post “bello e pulito” su Facebook, prima nessuno mi aveva contattato».
Il suo grande gesto rimarrà negli annali del premio? Nel 1984 Italo Calvino fece un passo indietro per non disturbare la corsa del suo amico Pietro Citati, che poi vinse.
Lei è amico con Trevi, ha pesato?
«In realtà i grandi gesti sono altri ma siamo così poco abituati che anche la normalità può stupire. E poi dal grande gesto al fesso il passo è breve ( ride). Non hanno influito sulla mia scelta né editori, né altri scrittori, né amici. Semplicemente non me la sentivo di fare il passo più lungo della gamba».
Mira al Campiello?
«Dipende, bisogna vedere se mi candidano. E comunque in futuro potrei riprovare allo Strega, come dice Califano “non escludo il ritorno”. Voglio bene allo Strega, è un premio in grado di dare diffusione a libri che in genere non conquistano la top ten».
E se non riuscirà a scrivere un libro altrettanto forte come “La città dei vivi”, rimpiangerà di non essere salito sul treno quando passava?
«Tocco ferro e poi mi piacciono le sfide, sono un generoso che si butta con incoscienza. Quando ho accettato la guida del Salone del Libro, nessuno lo voleva. Un giorno uno dell’ambiente mi disse: “Lo sa perché lo hanno dato a lei? Perché se fallisce potranno dire che è colpa sua"».
Lavora nell’editoria da anni, da quando ventenne iniziò con minimum fax, sa bene che l’ambiente richiede equilibrismi.
«Sono nato a Bari e cresciuto nel quartiere di Japigia, che all’epoca era tipo Scampia, crede davvero che possa farmi paura? La mia unica paura è non scrivere un libro all’altezza. Sono un piccolo borghese, mia madre viene da una famiglia di braccianti, mentre mio padre vendeva corredi. Mi creda, non ho alcuna soggezione verso la società letteraria. La vera partita è con me stesso».
Non le sembra di essere stato eccessivamente prudente?
«Il vero gesto di dismisura l’ho fatto scrivendo questo romanzo. Quando ho iniziato a seguire la pista dell’omicidio Varani stavo scrivendo un altro libro, avevo già l’anticipo dell’editore. Ho buttato via sei mesi di lavoro e ricominciato da capo.
Studiavo il caso e intanto leggevo i Vangeli, incantato dalla loro intensità poetica e dalla semplicità del linguaggio».
Non sente mai il bisogno di indossare altri panni ?
«Qualche volta mi chiedo “quante cartucce si hanno nella vita?”. Forse domani potrò fare scelte diverse, magari mi comporterò da star e farò cose che avranno come segno l’eccesso, ma stavolta sentivo di avere la forza per fare un gesto misurato. Mi sento forte, tranquillo».