la Repubblica, 10 febbraio 2021
Marini e il vestito che non serviva più
Il presidente aveva già comprato il vestito, mi disse uno dei suoi assistenti. “Aveva fatto fare l’orlo ai pantaloni, nella notte. La mattina presto mi chiamò: non c’era bisogno che andassi a ritirarlo. Il vestito non serviva più”. Franco Marini si è ritirato dalla politica il giorno in cui i suoi compagni di partito gli fecero mancare i voti per l’elezione al Quirinale.
Ha fatto, da allora, silenzio. Fu il primo a cadere. Lui prima dell’agguato a Prodi, il tradimento dei 101, il patto scuro che ha segnato l’inizio del precipizio. L’ultima volta che l’ho visto sono andata a chiedergli di questo. Al primo piano della sua villetta fuori Rieti, nel suo studio di libri e di legno. Per più di due ore parlò solo lui. Sapeva, naturalmente, tutto. Chi fossero i 101 ("molti di più") da quale vincolo fosse nato il tradimento e da quali ambizioni. Disse di D’Alema, di Renzi, dei suoi vecchi compagni Dc.
Raccontava come uno storico che ricostruisce una battaglia. Poi, in cucina, tagliò del salame. Gli dissi che avrei scritto un libro su come si uccide un Presidente e che l’avrei intitolato Nella Notte, perché tutto in politica accade di notte. Sorrise. Mi suggerì di farne un romanzo: «Così sarà più libera di dire la verità, senza il vincolo dei nomi reali.
Le ho parlato di un meccanismo. Limitarlo a quell’evento sarebbe riduttivo». Gli chiesi di poter scrivere del vestito, se non temeva così di essere riconosciuto. «Non credo, penso che del vestito non sappia neanche Guelfo».
Il suo portavoce, il principe dei portavoce.
Era il tempo, infatti, in cui i leader si circondavano dei migliori. Erano leader anche per questo.