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 2021  febbraio 10 Mercoledì calendario

Spagna, rapper in carcere per gli insulti al re

Si può finire in carcere per una canzone o un tweet. Potrebbero essere le ultime ore di libertà per Pablo Rivadulla Duro, in arte Hasél, «rapper, poeta e comunista», che nei suoi testi ha insultato il re di Spagna e i politici. Entro domenica il 32enne catalano si deve consegnare in un carcere, dopo la condanna definitiva per «esaltazione del terrorismo e ingiurie alla Corona e alle istituzioni dello Stato», contenute nei testi di canzoni e post sui social dove i membri della casa reale vengono definiti, nel migliore dei casi, «ladroni».
Un cantante dietro le sbarre, scenario imbarazzante per un governo progressista come quello di Pedro Sánchez, che infatti prova a correre ai ripari con una riforma delle leggi sul vilipendio. Quello di Pablo Hasél è l’ultimo di una serie piuttosto lunga di casi controversi, nei quali si utilizza il codice penale per censurare contenuti spesso sgradevoli (a volte molto sgradevoli) ma che negli altri Paesi europei non sarebbero materia di processi. Il rapper di Maiorca Valtonyc, dopo aver auspicato, fra le varie provocazioni, «la fucilazione dei Borbone», esaltato le azioni dell’Eta e la morte dei poliziotti, è scappato in Belgio per evitare la prigione e ora vive in «esilio». Prima di lui, il cantante César Strawberry era stato condannato (anche se poi assolto dal Tribunale costituzionale) per una serie di tweet dove ironizzava sulle vittime del terrorismo. Il caso più discusso è quello dell’attore Willy Toledo processato per alcune frasi che «offendevano il sentimento religioso». Una lista troppo lunga per non aprire un dibattito sulla libertà d’espressione in un Paese democratico. La Ong Free Muse, che si batte per la libertà di espressione, nel 2019 ha calcolato 14 casi di artisti condannati in Spagna (maglia nera in Europa in questa categoria). Il mondo della cultura ha lanciato un manifesto di condanna, firmato da oltre duecento artisti, tra i quali il regista Pedro Almodóvar, l’attore Javier Bardem e il cantante Joan Manuel Serrat: «La persecuzioni a rapper, utenti di Twitter, giornalisti, così come altri rappresentanti del mondo della cultura e dell’arte che esercitano il proprio diritto alla libertà di espressione sono diventate purtroppo una costante nel nostro Paese».
Per il governo spagnolo l’imbarazzo è evidente, vedere un artista dietro le sbarre è troppo per un governo progressista, per giunta in un momento di tensione interna, con Podemos che mette in discussione il fatto che la Spagna sia «una democrazia compiuta», a causa della presenza dei leader indipendentisti catalani in carcere. Argomento utilizzato, in altro contesto, dal ministro degli Esteri russo Lavrov, per ribattere alle accuse europee per l’arresto di Navlany. La situazione, insomma, è serie e il ministero della Giustizia riscriverà alcuni articoli del codice penale per arrivare punire i cosiddetti «eccessi di libertà d’espressione» con pene che non comportino la perdita della libertà. «In Spagna c’è un problema – spiega Jordi Nieva Fenoll, professore di Diritto processuale all’Università di Barcellona – queste condanne per reati che non esistono sono figlie di un’interpretazione che contraddice la Carta fondamentale dei diritti dell’Ue. L’ordinamento prevede di tutelare i gruppi più discriminati, ma la famiglia Borbone non è tra questi». Secondo il giurista, nei principali Paesi europei non succede niente di tutto questo, nemmeno in Germania dove sono proibite le esaltazioni del nazismo «la storia ha dimostrato che il nazionalsocialismo è nato grazie alla propaganda. Così, si considera che l’apologia del regime sia concretamente pericolosa e non un rischio astratto. Mentre in Spagna si condanna per causare “dolore alle vittime”, cosa che non rientra nell’ordinamento europeo». —