Corriere della Sera, 9 febbraio 2021
Le coincidenze tra i nomi e le cose
Nel lodevole tentativo di innalzare il livello della discussione, qualche settimana fa Matteo Renzi si è concesso una sentenza latina: «Nomina sunt consequentia rerum», come risposta a chi gli chiedeva una preferenza sul possibile presidente del Consiglio. Voleva dire che il prescelto (nome) sarebbe venuto dopo la definizione del programma (le cose). In realtà, la massima latina, ripresa anche da Dante nella Vita nuova, designava in origine la convinzione che i nomi contengono già l’essenza delle cose o delle persone nominate (Beatrice è beatitudine, Primavera è colei che verrà per prima, eccetera). Pressoché sinonimo di un’altra famosa locuzione latina: «nomen omen», ovvero nel nome c’è il destino. L’esempio più clamoroso sarebbe proprio Matteo Renzi, che nel nome e cognome contiene quasi perfettamente anagrammato il suo stesso motto politico e forse esistenziale: «rottamazione». E l’altro caso clamoroso è quello di Grillo, a cui basterebbe aggiungere l’aggettivo «urlante» per avere rivelata la qualità del suo successo. E che dire del presidente Mattarella, il cui cognome minaccia una severità ancora più dura di quella (già aspra) palesata finora? Per fortuna, non sempre il giochetto «nomina-res» si avvera. Basti pensare all’incongruenza tra il nobiliare Conte e il suo proporsi come «avvocato del popolo». E speriamo che la coincidenza non si avveri neanche con il premier incaricato. Perché se davvero dentro i nomi si nascondessero i segni segreti di un destino, con Mario Draghi al governo dovremmo aspettarci solo fuoco, fiamme e terra bruciata. Il che sarebbe di buon auspicio solo fino a un certo punto.
Postilla. A proposito di tormentoni, ricorre da qualche settimana anche la formula «furbetti del vaccino», attribuita a quelli che non hanno aspettato il proprio turno per accedere alle vaccinazioni. Un interessante libro del linguista Rosario Coluccia (Conosciamo l’italiano?, appena pubblicato dall’Accademia della Crusca) segnala, tra gli usi, gli abusi e i dubbi della lingua, il parlare per eufemismi: disabile, diversamente fortunato, ipovedente, operatore ecologico… Coluccia esorta a evitare le ipocrisie verbali. E in effetti i «furbetti del vaccino» meriterebbero di essere chiamati, senza troppe ironie attenuative, «stronzi del vaccino» o «delinquenti del vaccino».