La Stampa, 9 febbraio 2021
Lagioia non vuole essere candidato allo Strega
C’è chi dice «no». Nicola Lagioia, scrittore e direttore editoriale del Salone del Libro di Torino, da novembre in libreria con La città dei vivi (Einaudi), mette le mani avanti e fa un passo indietro: un «tango» necessario per chiarire, preventivamente e pubblicamente, che non intende essere candidato al premio letterario più importante d’Italia, lo Strega, quello a cui ogni autore ambisce, il «pallone d’oro» della letteratura italiana dal 1947. La decisione, per nulla scontata e a lungo meditata, arriva proprio nei giorni decisivi: c’è tempo, infatti, fino al 5 marzo per inviare le segnalazioni.
Chance di finire nella cinquina (e magari vincere) ne avrebbe avute, considerato il feedback dei lettori e il consenso della critica: la possibilità di giocarsela era concreta, visto che tra i 400 Amici della domenica, ovvero i grandi elettori del premio, c’è chi voleva proporlo. «Allo Strega non è sufficiente che qualcuno ti candidi. Devi accettare la candidatura. Io non solo l’ho già vinto, ma l’ho fatto con il mio libro precedente, La ferocia», spiega Lagioia con un post che ha ottenuto like da oltre 1800 fan. «Temo, vale a dire, che tornare a partecipare ora possa essere un gesto di arroganza, non solo verso gli altri, ma (poiché non ci si conosce mai fino in fondo) anche verso me stesso».
Nel suo ultimo libro racconta l’omicidio di Luca Varani, una storia vera, l’identikit del Male sullo sfondo di una Roma malata, con la chirurgica penna di un narratore a tratti storiografo e anche un po’ cronista. Un parto che ha richiesto una lunga gestazione: «Sono uno scrittore lento, pubblico un libro ogni cinque o sei anni, è un lavoro a cui dedico tutto me stesso, sono felice per ogni lettore in più che riesco a raggiungere. Però penso anche che fare ogni tanto un passo indietro potendone fare uno in avanti sia un buon insegnamento, un esercizio di misura e (a suo modo) una scommessa». Nel gesto di Lagioia dunque non c’è nessuna polemica, anzi, lui si dice grato con chi «reputa che il mio libro possa ambire a un premio tanto prestigioso».
Lo stesso Stefano Petrocchi, direttore dello Strega, definisce La città dei vivi un «libro splendido, che tanti avrebbero visto bene a concorrere per il premio». Poi puntualizza: «Lui non ha rinunciato alla candidatura, ha piuttosto chiesto e chiarito, proprio perché se ne discuteva molto, di non essere candidato e di non volerlo essere: sono due cose diverse».
In realtà avrebbe potuto partecipare nonostante avesse già conquistato il podio nel 2015: se trascorrono più di tre anni si può infatti ritentare. Ma è evidente che per Lagioia è questione di merito e non di metodo. Non è il gesto di un ribelle, la protesta di un anticonformista allergico alla competizione, ma piuttosto un patto con sé stesso, «una questione privata». E infatti Lagioia non giudica i colleghi che invece la doppia candidatura l’hanno vissuta senza troppi pensieri: la scorsa edizione il premio è andato, per Il colibrì, a Sandro Veronesi, già vincitore nel 2006 con Caos calmo. «Credo che l’idea di incoraggiare chi ha già vinto lo Strega a parteciparvi una seconda volta sia, oltre che sensata, giusta», dice ancora Lagioia. «Veronesi ha fatto bene a partecipare l’anno scorso».
Ma ciascuno ha la propria storia, e quella di Lagioia vive di tempi lenti e cammini lunghi: «So che con La città dei vivi è successo qualcosa di diverso rispetto a ciò che ho fatto in passato. È il motivo per cui continuerò ad accompagnare questo libro nel suo viaggio, sperando faccia ancora strada».