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 2021  febbraio 09 Martedì calendario

QQAN50 QQAN40 Un saggio su cibo e politica

Narrano le cronache medievali che Oddone, conte di Parigi, nel lontano 888 fu preferito a Guido come Re dei Franchi perché il suo contendente si accontentò di un pranzo da due soldi. Il mangiare frugale non si addiceva a un re.
Un personaggio, ancor prima che una personalità, si definisce anche a partire da ciò che mangia. Nell’antica Grecia, dove la dietetica è branca della medicina e insieme principio di condotta dell’uomo adulto, ci si ispirava al criterio della moderazione, tra i re di Francia meno. Il biografo Eginardo inizia la sua Vita Karoli scrivendo falsamente di Carlo Magno che “era moderato nel mangiare e nel bere”. In realtà i suoi pasti contavano sempre quattro portate e la carne non mancava mai. L’imperatore soffriva di gotta e di svenimenti e i suoi medici sapevano che era colpa dalla sua alimentazione, ma non potevano privarlo dell’autorità conferita dal nesso tra carne e potere.
Il potere del cibo è sempre andato al di là del suo valore nutrizionale. Una tavola apparecchiata è veicolo di idee. Per secoli il “convivio” è stato la cornice della letteratura e della filosofia, o dell’arte. Uno degli aspetti che sembra meno scandagliato è il legame del cibo con il politico. Ce lo ricorda una raccolta di saggi curata dal medievista e storico dell’alimentazione Massimo Montanari, intitolata Cucina politica (Laterza): un itinerario nella storia umana a partire dall’uso della cucina nella sfera pubblica.
Per un lungo periodo si è potuto tranquillamente affermare che dietro un grande politico c’era un grande cuoco. Il 13 febbraio 1466 lo chef più conosciuto di allora, Mastro Martino, fu chiamato da Papa Paolo II a preparare ravioli per una colazione di carnevale offerta al popolo in piazza San Marco a Roma. Nel Rinascimento e nei secoli successivi i banchetti vengono spesso usati come forma di spettacolo. Alla corte del re Sole, che è forse il momento in cui l’esercizio del potere finisce di più per coincidere con l’esercizio della forchetta, la tavola è un archetipo del lusso e della forza: l’avvicendarsi delle portate rappresentano quei principi di ordine e simmetria che informano il suo regno.
Si attribuisce a Talleyrand, camaleontico ministro francese che si schierò prima con la Rivoluzione e poi con la Restaurazione, l’invenzione del parmigiano sulla minestra. Ma il merito è forse più del cuoco che si portò al Congresso di Vienna, Antonin Carème, leggenda delle salse e inventore, pare, del cappello da chef. Le sue creazioni in cucina evitarono alla Francia sconfitta di uscire troppo male dai negoziati. Tanto che a Luigi XVIII che gli inviava ordini, Talleyrand rispose: “Sire, ho più bisogno di casseruole che di istruzioni”.
Un trionfo di “gastrodiplomazia”, come l’avrebbe chiamata il critico Auguste Escoffier sul finire del XIX secolo. Del resto, anche i summit di oggi non sono privi di dimensione conviviale. Pure quando le relazioni sono tese. Cucina politica mette in copertina la foto di un accigliato Ronald Reagan mentre impugna le bacchette accanto a Zhou Enlai, durante una visita in Cina nel 1972. Simile è il testa a testa di fronte a un hamburger tra Obama e Medvedev nel 2010.
In fondo, parlando del programma politico non si usa volentieri l’immagine della “ricetta”? A volte è successo l’opposto: i nomi di politici sono serviti a battezzare determinate composizioni culinarie. Ricordiamo il “pollo alla Rudinì” (dal nome di un politico di fine 800) inserito da Artusi nella sua sua Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.
L’ultima apparizione in pompa magna del cibo sulla scena politica è forse il momento dei totalitarismi. Cucina politica disserta anche sull’uso propagandistico della “tradizione culinaria”, oltre che, dal 1945 in poi, sull’alimentazione come terreno di coltura del consumismo dell’American way of life. Una stagione definita dal connubio tra il fast food e la “democratizzazione” dello zucchero. Per capire la portata della rivoluzione culturale, si paragoni il “mangino brioches” di Maria Antonietta con la generalizzazione della Girella.
Ma nel dopoguerra la gente aveva fame. Oggi che di cibo ce n’è fin troppo (in Occidente), il problema sembra tornato quello della dieta. Quando Donald Trump rivelò in un’intervista di mangiare troppi hamburger, la reazione non fu certo la stessa di quella dei medici di Carlo Magno. Forse oggi il cibo non è più instrumentum regni, manifestazione di potere. L’unione tra opulenza a tavola e forza di legge pare ridotta a reminiscenza del passato. E leggendo Cibo e politica viene da pensare che la sfida più attuale in un mondo dove tante persone non raggiungono ancora il livello di sussistenza alimentare è una nuova “dietetica” esportabile su scala globale.