Il Messaggero, 9 febbraio 2021
Il ritorno di Neffa. Intervista
E all’improvviso, rispunta fuori Neffa. Il cantautore torna sulle scene dopo cinque anni di assenza (non lo si vedeva in giro dal Festival di Sanremo del 2016, dove la sua Sogni e nostalgia venne eliminata prima della finale). E lo fa accettando a 53 anni una nuova sfida. «L’ennesima della mia carriera», sorride lui. Che nel nuovo singolo in uscita venerdì 12 febbraio canta in napoletano. Il brano si intitola Aggio perzo o suonno (ci sono anche i versi in italiano di Coez, mentre la produzione è di TY1, punto di riferimento della scena rap italiana) ed è la prima anticipazione di un progetto che vede Giovanni Pellino, nato a Scafati da mamma salernitana e papà napoletano, tornare alle sue radici. Arriverà in primavera: «Chi conosce la mia storia non resterà sorpreso: da Carosone a Murolo, al quale mi ispirai anche per Passione (il brano della colonna sonora di Saturno contro di Ozpetek con la quale nel 2007 vinse pure il David di Donatello, ndr), alla canzone partenopea devo molto».
Infatti la vera domanda è: perché un progetto del genere ora?
«Ero arrivato ad un punto in cui probabilmente avrei anche potuto non scrivere più. Invece tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020 sono stato rapito da un processo di scrittura incontrollabile. Un’epifania totalmente inattesa: le canzoni venivano fuori da sole».
Tutte in napoletano?
«Sì. Mi sono lasciato guidare. Ho composto trenta brani in due mesi. Quando ho cominciato a parlarne con gli amici mi rispondevano: Era ora».
E i discografici, invece?
«Ho incontrato molte difficoltà a trovare un contratto: un progetto di nicchia di un cantante di nicchia non è esattamente ciò che piace alle etichette, oggi».
Come li ha convinti?
«Insistendo: Guardate che questo lavoro è un gioiello. La presenza di colleghi giovani come Coez ha reso il progetto più appetibile (il disco uscirà per la rinata Numero Uno, ndr)».
Ma questa passione per la canzone napoletana come nasce?
«Da una cassetta di Murolo trovata tra gli scatoloni a casa di mia madre, nel 94. Io all’epoca facevo rap. Cambiò tutto».
Dica la verità: è lei Liberato, il cantante napoletano fenomeno sul web che si nasconde dietro l’anonimato...
«Sì, sono io (ride). Scherzi a parte, io a differenza sua porto una croce. Da sempre».
Quale?
«Se mi fossi fatto conoscere senza mostrare la faccia a quest’ora sarei un gigante. Ma soprattutto mi sono sempre trovato in anticipo sulle cose. E non sono stato capito».
Ha pagato caro certe scelte?
«Decisamente. Quando lasciai il rap e con La mia signorina iniziai a fare pop, i ragazzini presero a insultarmi: nelle chat dei programmi tv mi auguravano di morire. Davvero».
Ripensamenti?
«Zero. Ormai avevo deciso di rinunciare ad essere il re del rap per fare lo sguattero nella cucina dei cantanti».
Cercava un modo per arrivare più facilmente al successo?
«Tutt’altro. La mia fu una scelta impopolare, ma onesta. Gli ultimi dischi rap che avevo fatto non erano stati capiti. Allora dissi a me stesso: Non sono stato abbastanza bravo in quello che faccio, evidentemente. Poi capii».
Cosa?
«Mentre tutti andavano dalla stessa parte, io, da outsider, andavo dall’altra».
Oggi è un punto di riferimento per tutti quegli artisti che passano dal rap al pop, a partire dallo stesso Coez...
«Solo che loro non hanno subito neanche un po’ degli insulti che ricevetti io all’epoca. Sono stato un precursore: ho conosciuto l’odio della rete prima dei social. Facevo pezzi e pensavo: Ma a chi interesserà ascoltarli?».
È vero che nel nuovo disco tornerà a rappare?
«Sì. E ho scoperto di essere ancora bravo con le rime. Fare rap è come andare in bici: non si scorda mai».
A marzo la vedremo a Sanremo in coppia con Noemi nella serata delle cover con la sua Prima di andare via: non ha provato a presentare ad Amadeus un brano?
«Ci avevo fatto un pensiero l’anno scorso con una canzone intitolata Amaro ammore. Ma mi hanno detto che non erano ammessi brani con testi in dialetto. Avrei dovuto riscrivere parte del testo, come hanno dovuto fare Nino D’Angelo e Livio Cori nel 2019: no, grazie».
L’anno scorso sembrava vicino alla firma come giudice di X Factor: e poi?
«Non se ne fece più nulla. Avevano parecchi candidati. E io, onestamente, non me la sentivo tanto: l’idea di tornare in tv non mi convinceva. Magari cambio idea: so che in un contesto del genere mi divertirei anche. Non sono contro i talent quando lanciano cantanti che possano effettivamente avere una vita musicale anche fuori dal programma».