la Repubblica, 8 febbraio 2021
La metamorfosi del sovranismo
Quale sarà il destino del “sovranismo” italiano dopo gli avvenimenti di queste settimane? C’è chi ritiene la nuova posizione di Salvini frutto di mero opportunismo, ma forse la storia è più complessa, benché frettolosa. Del resto, anche l’opposizione di Giorgia Meloni, in apparenza fedele alla vecchia coerenza euro-scettica, a ben vedere è più pragmatica, persino suscettibile di futuri slittamenti.
È probabile in ogni caso che la faccenda non riguardi solo i “sovranisti” di casa nostra. Tutta l’Europa, si può dire, guarda a Roma e attende di vedere come nascerà il governo Draghi. La ragione è semplice: Salvini e Meloni, cioè Lega e FdI, se sommano i loro voti, raggiungono una quota di circa il 40 per cento virtuale che non è toccata da altri movimenti dello stesso genere in alcun paese dell’Europa occidentale. Per trovare analogie con il caso italiano bisogna guardare a Est, per esempio all’ungherese Orban – membro anomalo del Ppe – e al suo esperimento di Stato autoritario post-liberale, peraltro attento ai criteri economici dell’Unione di cui respinge invece il senso umanitario e il rispetto dei diritti della persona. Se si resta a occidente, nessun paese è mai stato a un passo dall’esser governato da maggioranze di destra intransigente, come è accaduto in Italia stando ai sondaggi (e senza parlare dell’esecutivo giallo-verde del 2018-19).
I punti di riferimento di Salvini fino all’altro ieri erano il fronte di Marine Le Pen in Francia e l’estrema destra di Alternative in Germania: nessuno dei due mai realmente vicini al governo dei rispettivi paesi. È chiaro però che il successo o l’insuccesso della destra italiana non poteva, anzi non può a tutt’oggi, non avere ripercussioni sul resto dell’Unione e principalmente a Parigi e a Berlino. La chiamata di Draghi sotto tale profilo apriva un’alternativa: i “sovranisti” potevano rafforzarsi per contrasto e rilanciare il programma anti-Ue; ovvero potevano, come in parte è già avvenuto, avviarsi verso una trasformazione. Con la conseguenza che il disgelo del bastione “sovranista” in Italia produrrà effetti negli altri paesi: il nazionalismo vecchia maniera si alimentava anche grazie al laboratorio italiano, ora dovrà rivedere metodi e strategie.
Ma c’è dell’altro. Draghi non è di tutta evidenza l’espressione di un europeismo retorico e vuoto. L’ex presidente della Bce è invece una figura in grado di difendere concretamente gli interessi italiani, una volta collocati senza ambiguità all’interno della cornice europea. Tutto lascia prevedere che li difenderà attraverso una triangolazione con Francia e Germania, trattando da pari a pari con quei governi sulla base di una consapevole determinazione. Inoltre il rapporto con l’Amministrazione Biden, e in particolare con il nuovo segretario al Tesoro, Janet Yellen, consolidato nel solco della tradizione euro-atlantica, offre al neo premier italiano un vantaggio ulteriore, forse decisivo. Per paradosso i sovranisti nostrani, nel momento in cui vedono crollare i loro feticci un po’ provinciali e anacronistici, spesso edificati in chiave di mera propaganda, potrebbero trovare nel presidente del Consiglio un difensore autentico dell’interesse nazionale. Al di là del possibile opportunismo di certe conversioni, resta quindi un dato.
L’evoluzione europea della destra (oggi Salvini, domani forse la Meloni) è plausibile con Draghi mentre era impensabile coi suoi predecessori. E questo è a lungo termine nell’interesse anche della sinistra.