La Stampa, 7 febbraio 2021
La rinascita di Cuba dovrebbe passare per i diritti civili
La ministra del lavoro Marta Elena Feito ha annunciato una parziale apertura dell’economia di Cuba all’impresa privata. Il regime che fu di Fidel Castro e del Che Guevara allenterà la stretta totale dello stato comunista, uno degli ultimi nel XXI secolo, permettendo a oltre 2000 attività, produzione, servizi, turismo di espandersi alla proprietà privata, dalle sole 127 liberalizzate, pur fra mille controlli, nelle precedenti riforme. Solo 124 settori resterebbero esclusivo appannaggio dei burocrati all’Avana ma, con tipica mancanza di trasparenza, Feito non ha specificato quali.
La decisione arriva dopo un 2020 in cui il presidente Miguel Diáz-Canel ha dovuto affrontare una fila di disastri. Nell’anno del coronavirus l’economia cubana è crollata dell’11%, la peggiore performance in una generazione, l’ex presidente americano Donald Trump ha rescisso ogni accordo di apertura sancito sotto l’amministrazione democratica di Barack Obama e, infine, il Venezuela, ultimo patrono da Chavez a Maduro, ha dovuto drasticamente ridurre gli aiuti, impoverendo la classe dei lavoratori non specializzati, nelle città e in campagna. Malgrado il Paese abbia avuto un impatto epidemiologico Covid meno drammatico di altre nazioni dei Caraibi e latinoamericane, la fine del turismo e i mesi di isolamento, con i voli sospesi, hanno azzerato l’economia «nera» di scambio fuori dai permessi ufficiali, che consente a migliaia di famiglie, artigiani, botteghe, tassisti, agricoltori e minuscole imprese di sbarcare il lunario.
Diáz-Canel spera adesso che il presidente democratico Joe Biden, insediatosi meno di un mese fa alla Casa Bianca, torni alle politiche di Obama, di cui era vicepresidente, allentando la stretta di Trump. Ma il passaggio non sarà immediato, Biden è stato abbandonato nel voto di novembre da una percentuale cospicua di cubano-americani, anche giovani, che hanno consegnato, per esempio, la Florida ai repubblicani, votandoli in massa anche in altri stati.
Varie fonti, inclusi i diplomatici cinesi, incoraggiano dunque Cuba a non mollare la dittatura politica, ogni dissenso viene ancora represso con durezza, ma almeno liberalizzare qualche settore dell’economia, per intercettare, dopo l’estate, la ripresa economica post virus che molti analisti auspicano.
«Che il settore privato si sviluppi- commenta la ministra Feito – è lo scopo della riforma... per liberare le forze produttive» e, come sempre, i cubani sperano in un’eco di propaganda della loro azione, come già con la promessa del vaccino autarchico Soberana 2, che, il governo assicura, immunizzerà la popolazione nel 2021 ed è già usato come arma diplomatica, per esempio con l’Iran, colpito a fondo dal Covid 19. A lungo penalizzata dall’embargo Usa, che data dalla Guerra Fredda, Cuba ha buona esperienza di laboratorio per i vaccini e sta provando a dispiegarla contro la pandemia.
Ma lo scorso autunno il regime ha dovuto fronteggiare anche, dopo tempo, un’ondata di dissidenza interna, come non si vedeva dai giorni di Carlos Franqui, il vecchio direttore di Radio Rebelde, o del poeta Heberto Padilla. È una nuova generazione, giornalisti indipendenti, artisti, musicisti rap, che rivendica al partito comunista «il diritto di avere diritti», con un manifesto letto lo scorso novembre dalla poetessa Katherine Bisquet, sulla scalinata del Ministero della Cultura. È stata la maggiore dimostrazione a Cuba dal 1959, quando Castro prese il potere e, benché passata sotto silenzio per i media italiani ed europei, ha segnato un momento importante del futuro nell’isola. Se, infatti, Diáz-Canel, pressato dalla vecchia guardia castrista, lanciasse una ulteriore campagna di arresti e intimidazioni, con più difficoltà l’amministrazione Biden potrebbe allentare le restrizioni di Trump. Se, invece, il regime chiudesse un occhio, il Dipartimento di Stato avrebbe spazi diplomatici per agire, senza irritare i cubano-americani. La protesta, seguita all’incarcerazione e alle percosse subite da un collettivo di artisti, ha visto in prima fila il noto regista Fernando Pérez e l’attore, assai popolare, Jorge Perugorría e, alla fine dell’assemblea una delegazione di trenta dissidenti -fatto davvero insolito- è stata ammessa a un colloquio con i funzionari, che hanno però negato di essere a conoscenza dei fatti, scusa poco credibile. Ora il governo prova la carta riforme economiche, temendo, come sempre, che ogni minimo cedimento sui diritti civili rovesci il regime. «È la fine repentina dell’Urss a terrorizzarli» commenta uno dei ribelli, «vedremo ora quanto dura questo primo cedimento».