La Stampa, 7 febbraio 2021
Cuba apre ai privati
Dalla purezza del Che al nuovo liberismo economico. Con una riforma senza precedenti il governo di Cuba archivia definitivamente la Revolución e spiana la strada all’impresa privata. Venerdì il Consiglio dei ministri ha approvato un provvedimento che apre le porte del libero mercato alla maggior parte dei settori produttivi, stravolgendo un’economia fondata sulla centralità dello Stato dal 1959, quando i «barbudos» guidati da Che Guevara e Fidel Castro presero il potere all’Avana rovesciando il regime filo-americano di Fulgencio Batista e nazionalizzando le grandi imprese private. «I settori in cui sarà consentita l’attività privata, ossia senza alcun intervento statale, passeranno da 127 a oltre 2 mila», ha comunicato con toni trionfali la ministra del Lavoro Marta Elena Feito.
La riforma, di cui si era iniziato a parlare già la scorsa estate, arriva in un momento particolarmente difficile per l’isola caraibica, piegata dalla pandemia che ha azzerato il turismo e dalle sanzioni imposte dall’ex presidente americano Donald Trump. Dopo anni di stagnazione, nel 2020 l’economia cubana ha conosciuto una contrazione dell’11 per cento (il peggior calo in quasi tre decenni) e la popolazione ha dovuto fare i conti con scarsità di beni di base e file interminabili per ottenerli. Ad oggi, il cosiddetto settore «non statale», con l’esclusione dell’agricoltura tenuta in piedi da centinaia di migliaia di fattorie, è composto principalmente da piccole cooperative attive nel turismo, nell’artigianato e nel trasporto locale. Secondo la ministra Feito, citata da Granma, l’organo di stampa del Partito comunista, si tratta di circa 600 mila lavoratori, ossia il 13 per cento della popolazione attiva. La nuova riforma dovrebbe aprire ai privati quasi tutti i settori dell’economia: «Soltanto 124 rimarranno parzialmente o del tutto controllati dallo Stato», ha riferito ancora la ministra Feito, senza però specificare quali (secondo Afp dovrebbero includere i media, la Sanità e la Difesa).
Il cammino verso un’economia di libero mercato, dopo oltre 50 anni di comunismo, venti di guerra (anche nucleare) con l’America, sfide a non finire ed embargo, era cominciato nel 2014 con l’allora presidente Raúl Castro e la visita a Cuba il 20 marzo 2016 di Barack Obama (un presidente Usa non metteva piede sull’isola da 88 anni, l’ultimo era stato il repubblicano Calvin Coolidge, nel 1928). In quei giorni L’Avana era stata invasa dalle modelle di Chanel, i Rolling Stones suonavano in Plaza de la Revolución, le navi da crociera scaricavano centinaia di turisti e i due presidenti progettavano investimenti milionari con resort adeguati agli standard nordamericani, green di golf e accordi nei settori dell’industria mineraria e delle telecomunicazioni. Poi è arrivato Trump, il grande freddo tra Usa e Cuba è tornato, nuove sanzioni hanno frenato lo sviluppo dell’isola, atrofizzato nel 2020 dalla pandemia. Ma la strada ormai era imboccata. Lo scorso mese il successore di Raúl, Miguel Díaz-Canel, ha definito l’espansione del settore «non statale» una «priorità immediata» per rivitalizzare l’economia. La nuova Revolución non guarda più al Che, ormai un monumento per i turisti, il modello è la Cina di Xi Jinping.