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 2021  febbraio 07 Domenica calendario

QQAN50 La dura vita dei primi pomodori

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«Pomo d’oro, cosiddetto volgarmente dal suo intenso colore, overo pomo del Perù, quale o è giallo intenso overo è rosso gagliardamente (…) ancora lui da ghiotti et avidi de cose nove è desiderato (…) ma al mio gusto è più presto bello che buono».
Così Costanzo Felici in una lettera a Ulisse Aldrovandi del 10 marzo 1572. Medico e naturalista, Costanzo Felici, attento anche ai prodotti che erano giunti in Europa dal Nuovo mondo, indicava così le due qualità di pomodori, giallo intenso e rosso gagliardamente, frutto desiderato «da ghiotti et avidi de cose nove» benché, a suo giudizio, fosse «più presto bello che buono».
Anche Castore Durante nel suo Herbario nuovo (1585) conosce le specie gialle e rosse e, pur sapendo che «i pomi d’oro mangiansi nel medesimo modo che le melanzane con pepe, sale e olio», aggiunge che «danno poco o cattivo nutrimento».
Dunque in quegli anni del secondo Cinquecento, il pomodoro è ancora del tutto marginale nell’alimentazione, anzi visto con sospetto, da alcuni ritenuto addirittura malsano, da altri invece afrodisiaco. Da questa seconda presunta qualità – o piuttosto, come si legge nel Tesoro messicano, per avere, in certe sue specie, forme che evocano organi sessuali maschili e femminili – si deve il nome con il quale spesso è chiamato: «pomo d’amore», «pomme d’amour», «love apple», «Liebesapfel». Al colore giallo di alcune specie deve invece il nome di «pomo d’oro»: Pietro Andrea Mattioli nella prima edizione del suo commento a Dioscoride (1574) conosce solo la qualità gialla; nella seconda, dieci anni dopo, anche la qualità rossa: «In alcune piante rosse come sangue, in altre di color giallo d’oro». Di qui il termine da lui usato «mela aurea» o «pomi d’oro». Il riferimento alle mele d’oro dell’orto delle Esperidi è evidente.
Come è noto il pomodoro era arrivato in Europa al seguito dei conquistatori della Nuova Spagna. Nei prodotti che Colombo, al ritorno del primo viaggio, presenta ai regnanti di Spagna, secondo la testimonianza di López de Gómara, il pomodoro non figura, ma quell’incontro va ricordato perché registra lo stupore degli europei di fronte ai prodotti del Nuovo mondo: «Presentò ai sovrani l’oro e le merci che portava dall’Altro Mondo; ed essi e quanti si trovavano davanti si meravigliarono molto nel vedere che tutto quello, eccetto l’oro, era nuovo come la terra in cui nasceva (…) provarono il peperoncino, spezia degli indigeni, che bruciò loro la lingua, e le patate che sono radici dolci, e tacchini che sono migliori dei polli e delle galline. Si meravigliarono che là non ci fosse grano, ma che tutti mangiassero pane di mais».
Non l’oro dunque stupisce i sovrani di Spagna, ma quei prodotti mai prima conosciuti e fra essi uno che sarà presto coltivato e consumato prima del pomodoro, al quale sarà spesso associato, il peperoncino. È probabile che il pomodoro – dapprima confuso con il tomatillo – sia arrivato in Spagna dal Messico o dal Perù, con la conquista di quelle terre da parte degli spagnoli nella prima metà del Cinquecento. Molto diffuso nella Nuova Spagna, base, con il peperoncino, di una salsa azteca che ancor oggi si usa, con aggiunta di cipolle selvatiche e altri odori. Di una salsa di questo tipo parla il francescano Bernardino de Sahagún, che era giunto nella Nuova Spagna nel 1526: «Le donne Nahua preparano le loro salse in questa maniera: aij (peperoncino), pepitas (semi di zucca), tomati (questo il nome azteco dei pomodori, rimasto in molte lingue europee), chiles verdi (peperoncini verdi piccanti) e altre cose che rendono i sughi molto saporiti».
Bernal Díaz del Castillo – nella sua Vera storia degli avvenimenti della conquista della Nuova Spagna (terminata nel 1568) – ci racconta di avere a un certo punto temuto, passando per Cholula, città del Messico sull’altopiano di Puebla, di esser fatto prigioniero e bollito in pentoloni già preparati con acqua, peperoncini e pomodori.
In Europa, mentre il peperoncino avrà immediato successo, il pomodoro tarda ad affermarsi negli usi gastronomici, anche perché, come si è detto, per lungo tempo considerato nocivo. È invece coltivato subito come pianta ornamentale ed è presente negli orti botanici e nei giardini principeschi. Entra presto nei trattati di botanica, a cominciare da quello già ricordato del Mattioli, e sarà ampiamente illustrato nel Rerum medicarum novae Hispaniae thesaurus, ovvero Tesoro messicano, pubblicato fra il 1649 e il 1651: una grande enciclopedia su piante, animali e minerali del Messico promossa da Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, utilizzando e salvando tutto il materiale raccolto sul luogo da Francisco Hernández (1570-1577), protomedico di Filippo II di Spagna, pubblicato molti anni dopo la morte del Cesi. Qui, nel libro VIII, tutto un capitolo è dedicato al tomatl nelle sue varie specie, classificato fra le solanacee, frutto noto in Europa come «poma amoris» fortassis ob veneream et lascivientem formam.
Se nei trattati di botanica del Cinquecento il pomodoro è considerato, malgrado molte riserve, un frutto edibile e tuttavia sconsigliato per i suoi effetti malsani, esso è del tutto assente nell’uso comune e nei ricettari.
La sua prima significativa presenza in un ricettario (come è noto i libri di cucina registrano sempre in ritardo usi già consolidati) è quella documentata da un marchigiano, Antonio Latini, nel suo Scalco alla moderna, pubblicato a Napoli (ove lavorava in posizione eminente alla corte del viceré spagnolo) in due parti, nel 1692 e 1694; vi compare una salsa di pomodoro «alla spagnola» fatta di cipolle, pomodoro, sale, olio e aceto: «Piglierai una mezza dozzina di pomadore, che sieno mature; le porrai sopra le brage, a brustolare, e dopò che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il coltello, e v’aggiungerai cipolle tritate minute, a discrezione, peparolo [peperoncino] pure tritato minuto, serpollo in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l’accommoderai con un po’ di sale, oglio, & aceto, che sarà una salsa molto gustosa, per bollito, ò per altro».
I pomodori sono anche presenti in uno stufato di verdure con zucchine, melanzane e odori vari, e ancora nella cottura di carni varie con il consiglio di non cuocere troppo i pomodori. Ma parlando dei maccheroni non li condisce con salsa di pomodoro, bensì, secondo la tradizione, con salsa di formaggio e spezie. (…)
Ma quando compare la pasta al pomodoro? Questo simbolo o mito della cultura napoletana e presto di tutto il paese tarda a presentarsi: i maccheroni, quelli lunghi ricercati dal sempre affamato Pulcinella, che non si scolano nel colapasta, ma si tirano fuori dalla pentola con un forchettone e si mangiano con le mani, erano conditi con cacio, soprattutto caciocavallo e ricotta salata. Lo annota anche Goethe nel suo Viaggio in Italia, passando per Napoli nel maggio 1787: «I maccheroni si trovano da per tutto e per pochi soldi. Si cuociono per lo più nell’acqua pura, e vi si grattugia sopra del formaggio, che serve a un tempo di grasso e di condimento».
La salsa di pomodoro resta per lungo tempo il condimento di carni o pesce, e il pomodoro come ingrediente di minestre e stufati, di carni o di verdure; in questo caso i pomodori sono cotti con zucchine e melanzane con le quali il pomodoro è stato sempre associato. 
Anche qui gli usi popolari precedono la presenza nei ricettari. In questi, una prima attestazione della pasta condita con sugo di pomodoro sembra essere del napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, e in particolare nell’Appendice alla seconda edizione della sua Cucina teorico-pratica dedicata alla Cucina casareccia in dialetto napoletano, comparsa a Napoli nel 1839. In realtà la sua ricetta di salsa di pomodoro, in dialetto napoletano, è buona su tutto: «Piglia i pomodori maturi, spaccali e levane i semi e quell’acquetta che c’è e li metti dentro una casseruola, scuotendola sempre perché si cuociano più presto; quando sono ben cotti passali al setaccio e fai restringere quel brodo sul fuoco, mettici il sale, il pepe e la sugna se ti servisse per condire i maccheroni o altro tipo di pasta piccola; se però ti servisse sul bollito, le uova, i polli, o il pesce, non metterai sugna, ma starà bene un poco di burro. Fatta questa salsa è eccellente per ripassarci i vermicelli, e allora se la condisci con l’olio vengono meglio e saporiti».