Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2021
Le porte girevoli tra Chigi, il Tesoro e Banca d’Italia
Incontra le delegazioni da solo. Nemmeno un estensore di verbali. Una rappresentazione plastica del suo stile di governo. Mario Draghi, ovunque è andato – Tesoro, Bankitalia, Bce – non ha creato o traslocato cerchi magici, ma ha messo al lavoro chi ha trovato. E quando si sono determinate necessità particolari allora ha agito con innesti da altre amministrazioni o università, con modalità che fino ad allora non erano conosciute. Accadde quando divenne ministro dell’Economia Carlo Azeglio Ciampi, nel 1996 con il primo governo Prodi. Draghi era direttore generale già da cinque anni ed era partito il piano di privatizzazioni. Ma con Ciampi e Prodi doveva decollare l’avvicinamento all’euro e serviva un impulso nuovo. Fu così che al Mef fu creato un nucleo di dirigenti generali – non consulenti, quindi – che provenivano da realtà esterne. Fu il momento in cui arrivarono a Via Venti Settembre dalla Banca d’Italia Fabrizio Barca (sud), Roberto Ulissi (affari legali) e Lorenzo Bini Smaghi (relazioni internazionali), e poi dall’università Vittorio Grilli (privatizzazioni) e Alberto Giovannini (debito estero), e per il Consiglio degli Esperti Francesco Giavazzi e Dario Scannapieco. Iniziava una stagione di porte girevoli tra le alte amministrazioni, meccanismo fino ad allora di fatto sconosciuto rispetto ai tradizionali “distacchi”. Ciampi era stato presidente del Consiglio nell’anno ’93-94, e in quel caso solo due persone da Via Nazionale lo avevano seguito: Francesco Alfonso, dirigente Bankitalia che è stato capo della sua segreteria tecnica (poi anche al Quirinale) e della sua segretaria particolare. Ma in quel periodo – ricordano a Palazzo Koch – l’allora capo della ricerca economica Pierluigi Ciocca, che poi sarà vice dg, fu molto vicino al premier, come principale consigliere. Una tradizione che regge per anni anche sotto il governo Berlusconi con Tremonti al Mef, e arriva fino al secondo governo Prodi, con Tommaso Padoa Schioppa all’Economia, già vice direttore di Bankitalia e Bce. Nel suo staff di consiglieri economici arrivano Sergio Nicoletti Altimari da Via Nazionale (ora è in Bce e ha lavorato a stretto contatto con Draghi) e Andrea Montanino, dirigente generale del Tesoro, già direttore per l’Italia del Fmi e ora chief economist di Cdp e presidente del Fondo Italiano. Nella prospettiva attuale il tema centrale è il Next Generation Ue, che deve essere migliorato, completato e negoziato con Bruxelles, anche se già dei capitoli sono stati approvati. Draghi probabilmente quindi, in tempi stretti, deve mettere in moto una macchina immediatamente operativa, senza periodi di rodaggio. In questo quadro il nome che trova più consenso per andare ad affiancare Draghi (e non solo come consigliere, quindi) è quello di Marco Buti, capo di gabinetto del commissario Paolo Gentiloni, che conosce forse meglio di tutti il dossier, ed è certamente stimato dal premier incaricato. E comunque a Palazzo Chigi già c’è un economista Bankitalia, Riccardo Cristadoro, che ha collaborato con Giuseppe Conte dopo l’uscita di Piero Cipollone nel settembre del 2019, poi entrato nel Direttorio. Infine il nome di una persona che con Draghi ha strettamente collaborato, forse più di altri, anche nel periodo Bce: Marco Magnani, già alto dirigente del servizio studi Bankitalia e anche scrittore.