il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2021
I telai li fanno in Cina e in Italia mancano le bici
Il 2020 è stato l’anno dell’esplosione della domanda di biciclette, ma anche della produzione estera di componenti che non è riuscita a tenere il passo all’offerta, indebolita dalla pandemia e dall’aumento dei costi di trasporto. I dati precisi arriveranno in primavera, ma secondo le prime stime nel 2020 si è registrato un aumento di almeno il 20% di richieste sul 2019, con oltre 2 milioni di bici vendute. Contestualmente è aumentato il tempo per la fornitura: le aziende ferme in tutto il mondo, e soprattutto in Cina, l’aumento dei costi del trasporto via mare e problemi nella logistica hanno generato notevoli ritardi. Per avere una bicicletta, specie se con particolari caratteristiche, si è arrivati ad aspettare fino a dieci mesi. Il Covid ha fermato le fabbriche anche nel cosiddetto Far East e senza pezzi quelle italiane ed europee non hanno potuto assemblare. È così iniziato il ripensamento della filiera: c’è chi in Europa sta prevedendo di riportare il ramo la componentistica in patria, ci sono le aziende asiatiche che hanno deciso di aprire impianti in Europa e chi chiede agevolazioni per invogliare le aziende a tornare alle produzioni verticali di quarant’anni fa quando da un tubo si dava vita all’eccellenza a pedali.
Storicamente, l’Italia è per l’Europa sia produttore di biciclette che di componenti, nonché esportatore: selle (soprattutto), telai di alta gamma, pure cerchi e ruote. Specializzata in bici da corsa, ne detiene tecnologia ed esperienza. Le aziende più importanti come Bianchi o Campagnolo, ma anche la Mario Schiano e la Donizelli, sono centenarie o quasi. Una tradizione antica se si tiene conto che il primo brevetto c’è stato in Germania nel 1817. Fino a 35 anni fa le aziende italiane costruivano tutto, dai tubi alle ruote. Poi qualcosa è cambiato. “Negli anni 90 la Cina decide di competere con il suo mercato, facendo dumping sui prezzi – spiega Piero Nigrelli, responsabile settore ciclo dell’Associazione nazionale ciclo motociclo e accessori (Ancma) – In poco tempo anche la produzione interna degli Usa si è dimezzata, nonostante il tentativo di spostare la manodopera in Messico. La Cina ha risposto abbassando ancora di più i prezzi”. L’Europa invece ha resistito grazie ai dazi anti-dumping, ma questo non ha impedito alle aziende di ricorrere ai telai cinesi, indiani e taiwanesi, più convenienti per la manodopera a bassissimo costo. La saldatura del telaio, infatti, può avvenire solo a mano.
In Italia il tessuto produttivo delle bici è formato da circa 250 imprese, in prevalenza Pmi, che impiegano più di 12mila addetti con l’indotto. La distribuzione conta su 2.600 negozi e un fatturato di 1,35miliardi. La verticalità però non esiste più. Le fabbriche assemblano componenti in parte prese dal mercato globale. Su 21 milioni di bici prodotte nel mondo, 14-16 milioni sono assemblate in Europa, 2,6 milioni in Italia. A differenza della Germania, che produce e vende a se stessa, l’Italia esporta gran parte della produzione nei paesi Ue, complice l’essere agli ultimi posti per la ciclabilità: 2,8 bici ogni 100 abitanti contro le 11 di Germania e Olanda.
Il 2020 sembra aver imposto una inversione. Già nel 2019 c’era stato un timido incremento della richiesta di bici da città, ma col Covid registra un’esplosione. Code fuori dai negozi, commercianti felici di aver visto “finalmente dopo tanti anni il colore delle mattonelle”. C’è la necessità di stare all’aria, la paura di usare i mezzi pubblici e i bonus del governo. “Venivano chieste riparazioni su bici rispolverate dopo anni – spiega Nigrelli – e le richieste sono arrivate anche da città non interessate dai bonus”. L’occupazione nel comparto sale dal 6 all’8%.
Rapidamente si svuotano però i depositi in Italia e in tutta Europa e il ricambio si rallenta. Il 60%delle componenti arriva infatti dall’est, specie i telai. Ad oggi, il valore della produzione di componenti in Europa si attesta a 3 miliardi euro, ma si stima di arrivare a 6 in 5 anni. Nel 2020 la quota di importazione di componenti è stata pari a 4,2 miliardi di euro, di cui 1,8 dalla Cina. “Il problema – spiega Manuel Marsilio della Conebi – sta nell’approvvigionamento di alcuni componenti dall’Asia: se prima della pandemia i tempi di consegna erano di circa 60 giorni, ora siamo in alcuni casi a 300. Ecco perché molte aziende Europee hanno deciso di tornare a produrre in Europa e altre non europee di rafforzare la capacità produttiva aprendo impianti in Europa”. In Germania, la storica azienda Büchel ha annunciato un piano di investimenti da 20 milioni e parallelamente investirà la Merida, di Taiwan. In Ungheria sta investendo la Giant mentre la Shimano ha aperto fabbriche in Repubblica Ceca. Anche la Campagnolo sta investendo, in Romania. Ma si potrebbe tornare in Italia. “Serve ridurre la pressione fiscale sul lavoro – conclude Nigrelli – Solo così si potrà invogliare le aziende a rivalutare la nostra cultura e la nostra tradizione artigiana”.