7 febbraio 2021
In Afghanistan poveri in fila per vendere un rene
Nella città di Herat, in Afghanistan, esiste un ospedale specializzato in trapianti nel quale i donatori offrono direttamente parti del loro corpo a chi è disposto a pagare per riceverle. I poveri, i disperati, le vittime di una guerra senza fine, quelli che non sanno più come tirare avanti e come sfamare la propria famiglia fanno la coda per farsi espiantare un organo in cambio di poche migliaia di dollari che danno solo un breve e illusorio sollievo. L’ospedale guadagna molti soldi, le autorità lasciano fare, incuranti dell’abisso nel quale è precipitato questo tormentato paese.
L’infernale mercato degli organi di Herat è stato raccontato in un drammatico reportage del New York Times, scritto da Adam Nossiter, responsabile dell’ufficio di corrispondenza di Kabul, e da Najim Rahim. Le foto di Kiana Hayeri hanno documentato decine di storie di giovani che hanno accettato l’espianto perché disperati, e se ne sono poi pentiti, naturalmente senza più poter tornare indietro. L’organo più venduto è il rene, perché comunque ne resta un altro. Alcuni medici di Herat hanno cominciato a scrivere nel biglietto da visita “specializzato in trapianti”: “Tutto ha un prezzo, in Afghanistan, meno la vita umana - ha detto al Times il dottor Mahdi Hadid, membro del consiglio provinciale della città -. Sul biglietto da visita c’è chi scrive che uccide le persone”.
I funzionari del Loqman Hakim Hospital si vantano di avere operato più di mille trapianti di reni in cinque anni su pazienti provenienti da tutto l’Afghanistan e anche dall’estero. Il costo di un intervento è cinque volte inferiore alle tariffe praticate negli Stati Uniti e l’offerta di organi è praticamente illimitata. Kiana Hayeri ha fotografato fuori dall’ospedale Haleem Ahmad, 21 anni, che cercava un acquirente per uno dei suoi reni dopo che il suo raccolto è fallito. Le trattative tra donatore e ricevente «non sono affari nostri», ha detto il dottor Farid Ahmad Ejaz, un medico ospedaliero che si vanta nel biglietto da visita di essere «fondatore del trapianto di rene in Afghanistan». Un rene vale ad Harat circa 3.000 dollari, ma i prezzi salgono e scendono con il variare di domanda e offerta.
La vendita illegale di organi rappresenta circa il 10% di tutti i trapianti globali e la pratica, oltre che in Afghanistan, è molto diffusa anche in India, in Cina, in Pakistan e nelle Filippine. Quasi tutti i governi cercano di porvi rimedio, ma non ci sono scrupoli né leggi morali a Herat: «Il popolo afghano – ha detto al giornale americano il dottor Ejaz – vende i propri figli e le proprie figlie per soldi. Come si può paragonare questo alla vendita di reni?».
Kiana Hayeri ha scattato immagini di Gulabuddin, 36 anni, che ha pagato 3.500 dollari per il suo rene, e di cinque fratelli della provincia di Badghis, Basir Ahmad, 19 anni, Abdul Nabi, 32, Abdul Samir, 27, Abdul Ghani, 23, e Abdul Naser, 18, che hanno venduto un rene per la disperazione e l’estrema povertà della loro famiglia. Altri se ne sono pentiti, perché mesi dopo ancora si trovano in uno stato di prostrazione dovuto ai postumi del trapianto che impedisce loro di lavorare: guadagnano meno di prima e la loro situazione è peggiorata.
Alla fine degli Anni 70 in Afghanistan le donne votavano e si vestivano all’occidentale, i matrimoni forzati erano vietati, l’istruzione era obbligatoria anche per le bambine, i tribunali tribali erano banditi, le leggi erano di ispirazione laica e non religiosa. L’invasione sovietica del 1979 ha creato il presupposto dell’abisso etico, politico ed economico nel quale il paese si dibatte, tra fondamentalismi religiosi, ingerenze straniere e povertà sempre più diffusa nella sua disperata popolazione.