Specchio, 7 febbraio 2021
Piccoli Marchesi crescono
Era nato il 19 marzo, del 1930, Gualtiero Marchesi, come se il destino avesse voluto assegnargli da subito con quella data un ruolo preciso: quello di padre degli chef italiani. Un ruolo che nessuno dopo di lui ha più saputo ricoprire.
La sua lungimiranza nel voler lasciare, nel 1975, la cucina del ristorante di famiglia per andare a lavorare al Ledoyen di Parigi, al Chapeau Rouge di Lione e dai fratelli Troisgros a Roanne gli consentirono di sviluppare quell’approccio al nuovo e alle contaminazioni che gli permisero di tornare e di aprire nel 1977 a Milano il ristorante da cui partì la nuova storia della cucina italiana . Il ristorante di via Bonvensin de la Riva ottenne la prima stella Michelin nel 1978, la seconda nel 1979 e fu il primo in Italia a ricevere la terza: era il 1986.
Non a caso l’opinione comune vuole che la storia della cucina italiana sia attraversata da uno spartiacque preciso: il prima e il dopo Marchesi. Fu infatti lui a farla uscire dal provincialismo e a far nascere piatti e stili che segnarono un’epoca richiamando giovani cuochi pronti a prendere parte alla trasformazione che stava coinvolgendo l’alta cucina nazionale: Davide Oldani, Andrea Berton, Carlo Cracco, Pietro Leemann, Paolo Lopriore, Ernst Knam o ancora Enrico Crippa, Daniel Canzian, Riccardo Camanini che fu all’Albereta con Marchesi dal 1993 quando il maestro trasferì a Erbusco (Bs) il suo ristorante.
I passi successivi furono nel 2004 l’apertura dell’Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana e, nel maggio 2008 a Milano, il Ristorante Teatro Alla Scala il Marchesino. E a poco più di tre anni dalla sua scomparsa l’eredità del maestro è ancora grande: centinaia di studenti frequentano l’Alma di cui Marchesi è stato rettore per quindici anni; la Fondazione Gualtiero Marchesi porta avanti un’attività di divulgazione costante e i suoi insegnamenti vivono in quei cuochi a cui ha trasmesso le basi su cui si è fondata la nuova cucina italiana. «Marchesi ha reso la nostra cucina decodificabile – spiega Andrea Sinigaglia, general manager di Alma – insegnando a tutti che ci sono eleganza, semplicità e logica nel cucinare. Il suo è stato un lavoro di riscrittura di una cucina in dialetto, in una scritta in italiano forbito che ha portato alla modernità». Marchesi è stato anche il primo chef a disegnare posate e stoviglie, a occuparsi di consulenze, a cucinare in televisione dando una dimensione più urbana e leggibile a una cucina familiare. «Ogni epoca ha il suo eroe – prosegue Sinigaglia – e Marchesi lo è indiscutibilmente stato, anche se in Italia non siamo stati capaci di celebrare quell’importanza come in Francia è stato fatto con Paul Bocuse. Oggi – aggiunge – è cambiato lo scenario, siamo nella contemporaneità, non si cerca più un maestro ma un percorso educativo ed eroi diversi che si confrontino con comunicazione, internazionalità e sostenibilità».
Marchesi è stato una figura di rottura che ha portato avanti una grande tecnica, ma anche il pensiero di un uomo gentile ed elegante che prima ancora di essere cuoco era un artista. La cucina per lui era una forma d’arte e come tale non rispettava schemi, ma era aperta al nuovo e al diverso. I suoi piatti, che ancora oggi si possono gustare sul Lago di Como, nella Terrazza Marchesi del Grand Hotel Tremezzo, sono stati capaci di valorizzare i prodotti anche attraverso un’altissima tensione estetica. Marchesi ha dato nuove coordinate alla cucina italiana senza mai perdere di vista il legame con il territorio e il suo approccio con il mondo, il suo desiderio di conoscere, di confrontarsi, di guardare con curiosità hanno tracciato un solco indelebile verso la nascita e la trasformazione di una cucina moderna.
Fondamentale, per lui, la divulgazione: amava trasmettere il sapere come racconta Simone Cantafio, classe 1986, che da più di un lustro è cuoco nel ristorante giapponese di Michel e Sébastien Bras. Il cuoco calabrese che presto approderà nel nuovo locale dei Bras a Karuizawa, cofirmandone il menù, arrivò da Marchesi a Erbusco iniziando come commis di sala per poi restare tre anni in cucina: «L’esperienza con Marchesi mi ha segnato molto: ho trovato in lui oltre a un maestro il nonno che non ho mai avuto. Eravamo molto uniti, fu lui a consigliarmi di andare a fare esperienza in Francia e, il giorno prima della mia partenza per il Giappone, prese la macchina e mi portò in giro per Milano. Mi disse, mentre passavamo davanti ai locali di suoi allievi, che stava diventando anziano, ma che era contento di aver lasciato qualcosa e che anche io avrei dovuto contribuire a portare avanti i suoi insegnamenti, perché cuochi lo si è per sempre».